una rosa d'oro

 

Narrativa


 

Un volo in ritardo

 

Racconto di

Clelia Di Stefano

 

L’aereo rullava sulla pista mentre lei ancora non si era agganciata la cintura. Era salita in ritardo e avevano dovuto aspettarla, con disappunto degli altri passeggeri, ma la colpa non era sua: l’airbus da Parigi era partito -e per conseguenza arrivato- un’ora dopo a causa degli scioperi continui che la compagnia di bandiera italiana faceva in quel periodo, paralizzando anche gli aeroporti delle città straniere in cui i suoi vettori facevano scalo. Quando era giunta a Roma perciò aveva perso la coincidenza, ed era stato necessario cercare un passaggio su un altro aereo, che però, avvertito all’ultimo minuto, per farla partire aveva a sua volta dovuto ritardare.  

 

 

Ora finalmente, mentre le nuvole si aprivano oltre i duemila metri e il sole si insinuava negli squarci fumosi dei nembi ad alta quota, le riusciva di rilassarsi e di chiudere un po’ gli occhi, lasciandosi dietro le spalle le giornate faticose dei défilés parigini, proibendosi di pensare a quelli che l’attendevano a Milano, ancora tanti, in verità, come sempre accadeva quando cambiava stagione e si presentava la moda dell’anno successivo.

 

Nelle basse ballerine che aveva indossato in fretta prima di partire, i piedi dolevano per essere stati costretti a destreggiarsi sui tacchi da 25 centimetri, in bilico sui plateaux  vertiginosi,che le mettevano addosso la paura di poter cadere all’improvviso e rompersi le caviglie sottili. L’hostess che passava col carrello delle bibite la riconobbe: lei era una “frequent flyer”, e conosceva sempre qualcuno tra il personale di bordo degli aerei su cui si imbarcava, con molti si dava del tu perché non di rado, quando era in trasferta per lavoro, dopo averli visti sull’aereo la mattina, li incontrava di nuovo la sera nei pubs o nei ristoranti delle città dove si recava, e con alcuni aveva pure pranzato insieme. Con quella che ora le porgeva il suo solito succo d’ananas senza zucchero -l’unica bibita ipocalorica che potesse permettersi- aveva una buona amicizia, spesso dormivano nello stesso albergo e nei momenti liberi l’una si recava nella stanza dell’altra a scambiare due chiacchiere. Anche adesso si diedero appuntamento per la sera, in uno dei locali trendy di Milano, dove si incontrava la bella gente e i businessmans più noti, i calciatori e i giornalisti a caccia di news, e dove le modelle come lei rimediavano spesso inviti a cena e intriganti dopocena a casa di uno o di un altro personaggio della jet-society milanese. Quando poi arrivava il bel tempo, ci si organizzava anche meglio: chi fra quei signori aveva una casa sui laghi invitava un gruppo di amici e conoscenti e sulle macchine di grossa cilindrata si andava a passare il week-end tutti insieme.

 

 

L’ultima volta in cui lei aveva partecipato ad una opportunità del genere era stata invitata da un noto produttore di un famoso vino, che aveva progettato in tempo di raccolta di tartufi una memorabile “tre giorni” prima vicino ad Alba, in Piemonte, dove possedeva una villa enorme e dove aveva ospitato gli amici invitandoli a gustare pietanze al tartufo e ad innaffiarle col suo vino, poi in una proprietà sul lago di Garda, dove tutti avevano giocato a golf in un campo vicino ed erano andati a cavallo sino ad un ben noto ristorante, presso il quale avevano mangiato formaggi e salumi pregiati degustando dell’ottimo

rosso d’annata. Gisèle era di origine francese, ma adorava l’Italia: da nessuna parte come qui ci si divertiva così tanto, in modi sempre diversi ed originali. Certo, gli inglesi ti invitavano anche a caccia, cosa rara ormai, gli spagnoli a visitare i loro allevamenti di tori organizzando una corrida privata per pochi amici.

I francesi, che, sebbene fossero suoi compatrioti, lei giudicava avari e poco disponibili ad aprire le loro case agli estranei, erano generalmente restii ad organizzare riunioni e ricevimenti, esclusi i grandi sarti e i produttori di vini e formaggi.

In Italia, invece, chiunque avesse casa al mare, in montagna o ai laghi, spalancava le porte e invitava la gente, e se gli invitati avevano ospiti, potevano portarli con sé, certi che sarebbero stati bene accolti. Insomma, c’era una tradizione di ospitalità che, come una volta le aveva spiegato un professore dell’Università di Roma, risaliva proprio ai Greci e ai Romani antichi, che addirittura ospitavano gli stranieri  senza chiedere loro chi fossero, da dove venissero, come si chiamassero, e, tranne che quelli non sentissero l’obbligo morale di dire chi erano, potevano pure partire senza aver palesato la loro identità, con vesti nuove in dono e cibo per il resto del viaggio.

 

 

Bevve tutto il succo di frutta e si rese conto di avere ancora sete, ma ormai l’aereo aveva cominciato la discesa verso Malpensa, e lei consegnò in fretta il bicchiere all’hostess che le strizzò l’occhio ricordandole l’appuntamento per la sera. Riattaccò la cintura e si preparò per l’atterraggio, che avvenne rapido e sicuro. Prese il bagaglio a mano e scese dalla parte posteriore del velivolo per far più presto, avviandosi verso l’autobus che l’avrebbe portata al terminal. All’uscita dall’aeroporto, per fortuna, l’aspettava un’auto dell’agenzia per cui lavorava, e fu con gratitudine che entrò nella macchina e si sedette dando all’autista, sua vecchia conoscenza, l’indirizzo del solito albergo dove lei aveva una stanza –sempre la stessa- a disposizione, come del resto le modelle di un certo livello che lavoravano per i grandi sarti nei periodi della presentazione della nuova moda. La temperatura era più tiepida qui, dove si sarebbe fermata una settimana circa. Sperò di potersi dedicare oltre che al lavoro, anche a qualche piacevole passatempo, come quello di incontrare certi amici che non vedeva da un po’.

Quando giunse in albergo il portiere le consegnò un discreto mucchio di lettere e biglietti. Infatti era quello l’indirizzo italiano a cui lei si faceva inviare la posta, e lì le arrivavano inviti e partecipazioni per tutti gli eventi italiani, di cui lei prendeva nota per i giorni seguenti. Mentre saliva in ascensore diede una rapida occhiata alle lettere, e ne aprì un paio: erano inviti per i soliti cocktails che venivano organizzati in concomitanza con i defilés a cui per contratto era d’obbligo partecipare per incoraggiare i buyers agli acquisti  e incontrare la gente che contava nel mondo della moda.

 

 

Era in quei contesti che maturavano i contratti per le stagioni seguenti, e sarebbe stato da sciocchi non esserci, anche per una come lei che ormai poteva permettersi di selezionare le manifestazioni a cui avrebbe preso parte. Appena uscì dall’ascensore arrivò col montacarichi un cameriere che portava i suoi bagagli e che le aprì la porta della stanza , mentre lei gli metteva in tasca la mancia di cortesia. Fece una rapida doccia, si cambiò d’abito. Telefonò alla sua agenzia per confermare il suo arrivo e la sua partecipazione al defilé del pomeriggio e per scusarsi del ritardo non voluto, dovuto agli scioperi degli aerei, che era divenuto ormai un problema di dominio pubblico, causando difficoltà particolarmente a chi aveva impegni indilazionabili di lavoro.

Ma la segretaria che le rispose non era la solita, e le chiese di ritelefonare un’ora dopo. Leggeva infatti nell’agenda un messaggio per lei, dove si diceva di chiederle di mettersi in contatto con la Direttrice, la quale, però, al momento era impegnata e sarebbe stata disponibile in seguito. Gisèle si sorprese un po’ di quella strana risposta, ma pensò che in prossimità della manifestazione tutti sembravano presi da un vento di follia, perciò, piuttosto che aspettare in albergo per telefonare ancora, decise di andare all’agenzia per sentire cosa volesse la Direttrice. Scesa nella hall dell’albergo ritirò al bureau i documenti che aveva lasciato entrando per il solito controllo di routine, ed uscì, felice di poter camminare con comodo per la strada senza i vertiginosi trampoli che avrebbe indossato più tardi per sfilare.

 

La sede dell’agenzia era poco distante, e in breve giunse a destinazione. Entrando avvertì subito un’atmosfera gelida che non si aspettava: mentre di solito quando arrivava tutti la salutavano alla voce, ora nessuno pareva accorgersi della sua presenza. Al banco delle informazioni un’impiegata sconosciuta le chiese chi fosse, cosa volesse , e quando lei con tono risentito chiese della Direttrice perché era attesa, l’altra le rispose che avrebbe dovuto aspettare, perché la dottoressa Ridolfi era in riunione. Gisèle intuì che qualcosa non andava per il giusto verso, ma supponendo che la situazione fosse stata determinata da circostanze fortuite, decise di sedersi ed aspettare. Prese una rivista di mode dal basso tavolo davanti al divano su cui era seduta, e, aprendola, vide delle foto di una sfilata della stagione precedente in cui c’era lei ritratta nel backstage mentre finivano di pettinarla. Ebbe quasi un moto di rabbia. Era incredibile che lei, per cui le porte erano state sempre aperte, ora dovesse aspettare come una postulante, seduta nella sala d’attesa, senza sapere perché. Finalmente, dopo un’ora e più , un fattorino che non aveva mai visto venne a chiamarla, chiedendole se fosse lei la signorina Gisèle Beaufort (e lo pronunciò come si scriveva, leggendo da un biglietto che teneva in mano) aggiungendo che poteva seguirlo. Gisèle prese la borsa e gli andò dietro, e fu introdotta in una stanza dove non era mai entrata, lunga e stretta, occupata nella parte mediana da un tavolo altrettanto lungo e stretto intorno a cui erano sedute una dozzina di persone, tra cui la Direttrice e l’amministratore delegato dell’agenzia. Era evidentemente una sala per riunioni, ma non quella importante che lei conosceva. Non era possibile che tutta quella gente fosse stata convocata per assistere al discorso che la Direttrice doveva farle.

Ancora non capiva, ma fu costretta ad aprire occhi ed orecchie quando, avendo salutato, le fu risposto con freddezza di accomodarsi. Poi la Direttrice prese la parola, e tutto fu chiaro.

 

 

Quando uscì dall’agenzia, le orecchie le ronzavano, il cervello non riusciva a mettere in ordine gli avvenimenti che si erano succeduti rapidamente senza lasciarle il tempo di reagire né di pensare. Doveva fermarsi un attimo e riflettere.

Di fronte al palazzo da cui stava uscendo c’era un grande bar, frequentato da tutti quelli che lavoravano negli uffici della zona.

 

Entrò, acquistò una rivista per darsi un contegno, sedette ad un tavolo ed ordinò una tisana rilassante. Sfogliava distrattamente il giornale, senza vedere le immagini, e si impose di riepilogare con metodo la sequenza degli avvenimenti per cercare di capirne di più. Le cose erano andate così: lei era arrivata, aveva atteso un’ora e più, poi era stata chiamata e condotta nella sala riunioni, dove la Direttrice dell’agenzia per modelle di cui lei faceva parte le aveva detto che l’avevano cercata dal giorno precedente per sapere se avesse intenzione di confermare la sua partecipazione alla manifestazione di quel giorno, ma lei non era stata reperibile, né aveva ritenuto opportuno farsi viva per confermare la sua adesione. Pertanto, in assenza di sue notizie, e non potendo rischiare di rimanere privi della modella che doveva indossare gli abiti del sarto U****, come da contratto, erano stati costretti a cercare una sostituta, ragione per cui ormai non avevano più bisogno di lei. Anzi, dato che se ne presentava l’occasione, le comunicavano che avrebbero purtroppo dovuto fare a meno della sua collaborazione, e, dal momento che il suo contratto con l’agenzia scadeva proprio in quei giorni, non lo avrebbero rinnovato. Del che lei doveva essere loro grata perché poteva essere citata per inadempienza, ma preferivano considerare chiusa la partita per evitare una pubblicità che non sarebbe stata opportuna per loro e la serietà della loro attività, né per lei, che si sarebbe rovinata la carriera.

 

Le avrebbero consegnato le credenziali insieme ad una piccola buonuscita, così che lei potesse rimettersi sul mercato senza gravi danni, dato che era ancora giovane e avrebbe potuto senza dubbio trovare lavoro con l’aiuto di un buon agente. Se voleva, avrebbe potuto chiedere in segreteria il nome di qualche altra agenzia, loro non avrebbero detto perché veramente la licenziavano, ma che erano stati costretti a rinunciare a lei in un momento di crisi.

Gisèle credeva quasi di stare vivendo un incubo, non comprendeva quel che stava accadendo, disse soltanto che il suo ritardo era dovuto -come tutti avrebbero dovuto ben capire- a cause di forza maggiore di cui stampa e televisione parlavano continuamente, e che comunque lei avrebbe parlato con il suo avvocato prima di accettare le condizioni alle quali si faceva riferimento quando le si partecipava che il suo contratto non sarebbe stato rinnovato. Disse che non aveva potuto telefonare perché quando era stato annunciato che l’aereo non sarebbe partito lei era già salita sul vettore e  i cellulari erano omai spenti, né, poi, era riuscita a comunicare da Roma, dove aveva accumulato un ulteriore ritardo sempre a causa dello sciopero. Gisèle pensava che in assenza di un avviso di mancata partecipazione da parte sua, l’agenzia avrebbe dovuto ritenere che lei sarebbe stata presente, altrimenti si sarebbe fatta viva. Poi si era alzata, aveva raccolto borsa e giubbotto ed era uscita senza salutare nessuno, scioccata dall’enormità della situazione che si era creata.

Lei restava ora senza lavoro, ma quel che era peggio, risultava licenziata per inadempienza, il che nella sua professione era una causale tra le peggiori: le toglieva credibilità e fiducia, e nessuna agenzia l’avrebbe più valutata ai livelli attuali.

La bevanda calda ora la faceva rilassare un poco, e il cervello cominciò a snebbiarlesi, sin che si accorse di non aver guardato intorno a sé per vedere dove si trovava.

 

 

Poiché molti  fumavano e le vetrate del locale erano aperte, prese una sigaretta dalla borsa e fece per accenderla, ma una mano maschile si materializzò davanti i suoi occhi brandendo un accendino già  acceso.

-Gisèle, ma  che ci fai qui, vagabonda, quando sei arrivata? Non mi chiami mai, sto settimane intere senza sapere nulla di te, avevo da proporti un servizio per Vogue, volevano te per indossare abiti di Armani in un certo contesto, io potrei farti un centinaio di scatti tra dieci giorni, dovremmo andare in America, ma non so  se tu hai i defilés  in questo periodo...- La voce di Mark Oldoini continuava a parlare, la speranza ricominciava a fiorire, il lavoro era lì, bastava tender la mano e cogliere i frutti di quel che lei pazientemente aveva seminato, senza mai perdersi d’animo. Ascoltò a lungo la proposta di lavoro che le veniva offerta. Avrebbe accettato di posare per quel servizio fotografico, le sue immagini sarebbero comparse sulla rivista di moda più famosa d’America, e lei, la splendida Gisèle, sarebbe tornata al solito lavoro.

Sorrise al celebre fotografo, che si era seduto di fronte a lei e le chiedeva cosa poteva ordinare per lei. Scostò la tazza con la tisana e:

-Un caffè, grazie- disse. -No, non ho preso impegni per tutto questo mese- aggiunse poi -sono stanca di andare su e giù per le passerelle, credo di potermi permettere una vacanza. Se ti interessa, accetterei volentieri di fare questo viaggetto in USA, spero solo che gli aerei partano in orario: non sai che fastidio mi abbiano recato in questi giorni  tutti questi ritardi...-

-Bene, spero di arrivare in tempo per avvertire alcuni amici brasiliani che volevano farmi realizzare un servizio per una loro rivista di moda, se accetteranno di spostare la loro data contatterò Vogue, e ti farò sapere... Speriamo che non se ne siano pentiti e che non abbiano cercato un’altra modella... Ci sentiremo fra un paio di giorni, ti chiamo appena so qualcosa.-

Il discorso si  manteneva sul vago, avrebbe dovuto attendere giorni per sapere quel che ne sarebbe stato di lei. L’indomani avrebbe contattato altre agenzie, avrebbe cercato altri amici che potessero aiutarla, pur senza far capire che avrebbe avuto bisogno di lavoro.

La conversazione continuò anche dopo che si furono alzati e uscirono dal bar. La via era gremita di gente, il sole stava per tramontare, le luci si accendevano.

Milano si preparava per un’altra serata di vita mondana, intensa e piacevole.

 

 

 

 

Clelia Di Stefano