una rosa d'oro

 

Narrativa


 

PIOVEVA  A  DIROTTO

 

Racconto di

Clelia Di Stefano

 

Pioveva a dirotto. Le scarpe estive le si erano allargate improvvisamente e le sgusciavano dai piedi, così che ogni passo era un’enorme fatica, nel tentativo di non perderle e di non scivolare sui marciapiedi viscidi di Colonia.

Durante gli inverni piovosi del suo paese natale,  Enrica aveva sempre considerato l’estate come il momento in cui avrebbe potuto godere di un periodo di vacanza e di riposo e pensava  alla “Mitteleuropa” come luogo privilegiato e meta preferita dei suoi viaggi. Sognava le verdi foreste, i fiumi, i laghi e le città affacciate sui mari del nord, la frescura estiva, tutte caratteristiche introvabili nella sua terra in cui, al sud, il caldo e la siccità la facevano da padroni. Tuttavia, sapeva bene che non era infrequente , nella zona continentale dell’Europa, in prossimità di fiumi e laghi, che piovesse all’improvviso, e che poi il cielo si rasserenasse velocemente.

Mentre si affrettava lungo la strada che portava al Duomo e al Museo,si accorse di essere arrivata davanti i Grandi Magazzini,le cui vetrine mostravano, consolatorie ed allettanti, stivaletti di gomma, ombrelli colorati e leggeri impermeabili. Decise di entrare ed acquistare qualche indumento per cambiarsi, poiché era inzuppata di pioggia sino all’inverosimile. Poi, dopo aver pagato, entrò nella caffetteria, per riposarsi un momento.

Enrica era una ammiratrice della pasticceria tedesca, e scelse una porzione di torta al limone con la panna,che divorò in un attimo, bevendo poi un buon tè. Regolato il conto, raccolse i bagagli ed uscì, rincuorata dal sentirsi sufficientemente coperta e al riparo di un piccolo ombrello .

Quando giunse al Duomo, la penombra e il silenzio l’accolsero,  con le piccole luci ammiccanti delle candele elettriche e di cera che i fedeli e i turisti accendevano davanti agli altari. Ma  non indugiò a guardare le grandi arcate ogivali né  le vetrate a colori : gli occhi furono attratti dallo scintillio dell’arca d’oro che trionfava in alto sotto il  baldacchino posto al centro dell’abside. Sedette su una piccola panca in prossimità dell’altare, e si immerse nella contemplazione di una delle più famose meraviglie del mondo, un capolavoro d’arte giunto ai nostri tempi miracolosamente intatto: lo Scrigno dei Re Magi, un’enorme arca ricoperta da una lamina d’oro puro lavorata a bassorilievo che narra la nascita e l’infanzia di Gesù Bambino.

 

Duomo di Colonia - Arca dei Tre Re Magi

 

-Bello, vero?, è un genere che in Italia non abbiamo!-

Si volse all’improvviso per capire chi le avesse rivolto la parola nella sua lingua madre, e nella semioscurità vide un giovane uomo, non del tutto sconosciuto, che proseguiva il discorso: -Posso sedermi accanto a lei? La prego, non mi prenda per un importuno: il fatto è che quando si è lontani da casa pare bellissimo incontrare uno del proprio paese e scambiare parole per rendere esplicita un’emozione quale può essere l’ammirazione per un’opera d’arte! Veramente, io l’avevo vista sull’aereo quando siamo partiti da Roma, ma non pensavo di poterla incontrare qui. Se le sto parlando è perché sapevo già che lei era italiana... ma se le sembro noioso vado subito via!-

La voce era garbata, lo sguardo sorridente: Enrica non ritenne sconveniente lasciare che lo sconosciuto sedesse accanto a lei, e, mentre ricordava effettivamente di averlo visto anche lei sull’aereo, si spostò per fargli spazio sulla stretta panca.

Subito cominciarono a parlare dello splendido edificio e della sua storia, dello stile gotico e di altre chiese del genere che ognuno di loro aveva visitato.

 

Duomo di Colonia - Finestra ogivale

 

Si accorsero all’improvviso che era già mezzogiorno. Uscirono sul sagrato accecati dalla luce del sole, emerso tra le nuvole, che ora faceva splendere gli specchi d’acqua che l’abbondante pioggia aveva creato sugli avvallamenti del selciato, e senza rendersene conto si avviarono insieme verso il Museo, a destra della chiesa, come se lo avessero deciso già prima. Quando giunsero davanti all’ingresso, lei gli tese la mano e: -Io sono arrivata- disse -la ringrazio di avermi fatto compagnia!-

-Ma... veramente anch’io dovevo visitare il Museo! Come ha visto, mi dirigevo tranquillo verso di esso, e pensavo che avremmo potuto vederlo insieme... se però lei non è d’accordo, il Museo è molto grande, e potremo visitarlo ognuno per conto nostro...-  

-Sarebbe troppo sciocco fare ciò che lei suggerisce... ero io che non volevo imporle la mia compagnia a tutti i costi... ma se lei insiste,possiamo entrare insieme, poi io andrò un attimo alla caffetteria  e la raggiungerò nel reparto riservato ai gioielli medioevali. Ci metterò dieci minuti.-

-Va bene, sarò lì ad attenderla, poi decideremo dove andare... ma non si perda! Non saprei come fare per ritrovarla!- concluse il giovane ridendo.

Lui passeggiava nervosamente davanti l’ingresso del reparto riservato ai gioielli antichi quando Enrica giunse trafelata, e appena lo scorse da lontano rallentò l’andatura, per non far vedere che correva. Se avevano temuto di perdersi e non rivedersi, ora cercavano di darsi un contegno indifferente. Lei aveva riflettuto sul fatto che non sapeva nemmeno come lui si chiamasse e decise che glielo avrebbe chiesto se non si fosse presentato spontaneamente. Però, da quel che aveva detto parlando d’arte e di architettura, non sembrava una persona ignorante: anzi, aveva un linguaggio accurato, cosa rara per un giovane della sua età (tra i 27 e i 30 anni?) era vestito in modo sportivo ma con una naturale eleganza, e tutto in lui ispirava fiducia. Tuttavia decise di essere guardinga: quando viaggiano da sole, le donne non devono dare confidenza a sconosciuti.

Ma quando furono l’uno di fronte all’altra, lei non riuscì a non ricambiare il sorriso di lui, disarmante perché mostrava apertamente di essere felice che lei fosse davvero tornata e non lo avesse lasciato attendere inutilmente. Concordarono un itinerario di massima, e poi si avviarono chiacchierando, e all’improvviso lei gli chiese come si chiamasse –Roberto- e lui a lei -Enrica – e decisero di darsi del tu, lui 28 anni, una laurea in ingegneria, un viaggio estivo in solitario per vedere città del centro-nord d’Europa, per cercare nuove suggestioni per il suo lavoro, cosa impossibile quando si parte in comitiva con amici in cerca di divertimento; lei 26 anni, insegnante di lettere, in vacanza estiva, da sola perché in comitiva non si può mai essere d’accordo sul da farsi, e poi anche perché lei  era un tipo a cui tutto sommato piaceva meditare e starsene un po’ per suo conto, desiderosa di silenzi e tempi scanditi solo dalla sua volontà.

Quando ancora non avevano concluso la visita del Museo, decisero di tornare alla caffetteria che Enrica aveva già visto e giudicato ben fornita di buon cibo per fare uno spuntino. Dal balcone-terrazza dell’ultimo piano dell’edificio, coperto da ampie tende per riparare dal sole gli avventori, si vedeva tutta la città e, lontano, il Reno, su cui l’indomani Enrica, come disse, avrebbe proseguito il suo viaggio su un battello.

 

Colonia – Ponte sul Reno

 

Scelsero  per tutti e due uno di quei piatti enormi alla tedesca in cui c’è un po’ di tutto: nel loro c’erano salmone affumicato, insalata russa, uova sode,  maionese, cetriolini, pomodori,insalata. Bevvero una birra bionda e leggera, seguita da una coppa di gelato e da un caffè che fece loro arricciare il naso: era l’unica cosa che non era così buona come in Italia. Per il resto si dichiararono soddisfatti. Roberto, cavallerescamente, voleva offrire lui la colazione, ma Enrica disse che non ne vedeva il motivo e sostenne che ognuno doveva pagare per sé.

-Ci sarà certo un’altra occasione- disse il giovane -visto che anch’io domani parto col tuo battello!- -Non posso crederci! Non è possibile che tu percorra il mio stesso itinerario!- -Capisco i tuoi dubbi, ma anche se io stessi decidendo ora di proseguire lungo la tua stessa strada, tu avresti qualcosa in contrario? –

-Se tu vai per caso dove vado io, non posso certo proibirti di prendere gli stessi mezzi, ma ammetti che suona un po’ strana questa affermazione... da quando hai deciso di prendere il mio stesso battello?-

-Senti, Enrica- disse lui -sarò sincero con te: io stavo andando in Olanda, dove anche tu mi hai detto che andrai: prendere il treno o il battello per me è uguale, anzi, di sicuro, vedrò panorami più belli dal fiume... stare con te mi fa piacere, considero un miracolo averti incontrata, sino a questo momento sei una compagna di viaggio ideale per me, a meno che il tuo carattere non si manifesti diverso da come mi è apparso fino ad ora. Se proprio non mi sopporterai, non dovrai fare altro che dirmelo...-

-Roberto, anche a me non dispiace la tua compagnia, ma non è mia abitudine accompagnarmi con persone sconosciute, anche se capisco benissimo che tu sei una persona per bene, un bravo ragazzo educato che- fino ad ora... -si è comportato gentilmente. Tu stesso che cosa potresti pensare di me, se io cedessi con tanta velocità a tutte le tue richieste?-

-Non penserei nulla, tranne che a te non dispiace la mia compagnia e che tutto sommato in due è più gradevole che da soli girare per il mondo... Se perciò tu sei d’accordo godiamoci la vacanza come viene, poi si vedrà...-

-“Poi si vedrà”? che senso hanno queste frasi misteriose? Cosa c’è da vedere, poi?-

-Nulla, se non che decideremo di giorno in giorno se tu vorrai stare con me, quando arriveremo in Olanda, o se vorrai salutarmi definitivamente...

 

Olanda - Rotterdam - Canali

 

Ma poiché è prematuro parlarne, per ora non ce ne preoccupiamo e viviamo alla giornata, anzi, all’ora, ma che dico, al minuto!- e mentre finiva il suo discorsetto tra il serio e il faceto, Roberto l’aveva presa familiarmente per un braccio, aiutandola a portare la pesante sacca da viaggio che lei si trascinava dietro.

Enrica era rimasta senza parole. Il pomeriggio finì tra le mura del Museo, poi lei disse che sarebbe andata in albergo a riposare un po’ e a cambiarsi prima di andare a cena, e lui non insistette per accompagnarla, solo si diedero appuntamento per ritrovarsi l’indomani all’imbarcadero e partire.

Tornando all’albergo si rese conto di non avergli detto dove alloggiava: se per caso lei non avesse preso quel battello, l’indomani, avrebbe potuto non vederlo mai più.

Si chiedeva come e perché le fosse accaduto tutto ciò: come aveva potuto concedere ad uno sconosciuto, solo perché era del suo stesso paese d’origine, di stare insieme a lei tutto il giorno, come aveva potuto raccontargli tanto di sé e chiedergli della sua vita, del suo lavoro. Camminava per la città che ormai, sul far della sera, si era liberata dalle nubi e mostrava un cielo sereno, qua e là punteggiato dalle prime stelle, e sentiva la frescura arrivare dal fiume con un venticello leggero, che la faceva rabbrividire sotto l’impermeabile acquistato la mattina. Pochi passanti si affrettavano come lei, i negozi erano già chiusi e passando da uno di quei tipici localini tedeschi dove piccole vetrine offrono cibo pronto–rissoles,  sandwich, croquettes di riso, e simili- purché vi si introduca una monetina, inserì alcuni soldi nelle fessure apposite di quattro o cinque vetrinette e fece una scorta di buone cose da mangiare. Acquistò una coca-cola e una bottiglia di acqua minerale, un pacchetto di biscotti al cioccolato e tornò in albergo, stanca ma felice di aver risolto il problema del cibo e di non dovere più vestirsi ed uscire. Fece una doccia, sedette sul letto, aprì la televisione e si mise a mangiare la cena improvvisata, come se fosse stata in uno splendido ristorante a gustare un prelibato menu. Presto la stanchezza e il sonno la sopraffecero, gettò gli involucri del cibo nel cestino apposito, spense luce e tv, e si addormentò profondamente. La sveglia che aveva prenotato al bureau dell’hotel la sera prima suonò alle sette. Saltò giù dal letto, si lavò e, ormai consapevole che il tempo potesse cambiare all’improvviso, si vestì a strati, indossando jeans, maglietta, camicia e giubbotto, mettendo in borsa impermeabile e ombrello, quel che era rimasto dei biscotti al cioccolato e dell’acqua minerale. Chiuse la valigia e guardò l’orologio:erano solo le otto e mezzo, il battello partiva alle undici. Ce n’era però uno alle dieci e un altro alle dodici, un’ora prima o un’ora dopo di quello per cui aveva la prenotazione. Sarebbe bastato cambiare battello per non incontrare più Roberto. Sentiva di essere attratta irresistibilmente dal giovane uomo,che le appariva di buon carattere, attento e gentile. Ma sarebbe stato sempre così? Non si poteva, in meno di ventiquattr’ore, comprendere se era possibile fidarsi di una persona.

 

Colonia - Il Porto fluviale sul Reno

 

Dove l’avrebbe portata quella conoscenza? Come avrebbero potuto evolversi i loro rapporti? Era sola, non aveva neanche telefonato o scritto a casa, dove ormai erano rimasti solo suo padre e suo fratello, dacché la mamma era passata a miglior vita.

Decise di telefonare ad un’amica, giusto per lasciare traccia della tappa fatta a Colonia. Chiamò a lungo, ma nessuno rispose. Allora compose il numero di casa, e le diede risposta la donna delle pulizie: le disse che non c’era nessuno tranne lei.

Presa da un ingiustificabile fatalismo, sentendo quasi che la sua sorte doveva essere stata già decisa altrove, rinunciò alle telefonate. Erano le dieci, chiamò il bureau per chiedere un taxi, scese trascinandosi dietro il trolley e la sacca da viaggio, con la borsa a tracolla. Diede l’indirizzo al tassista e sedette quietamente.

 

Quando arrivò all’imbarcadero Roberto era là, con uno zaino sulle spalle, un giubbotto giallo e blu, un berretto a visiera giallo, e le disse, salutandola con un sorriso, che lo aveva messo perché sperava che lei potesse notarlo da lontano. Si avviarono verso il battello, e lui prese la valigia e le diede una mano per aiutarla a salire a bordo. Scelsero due posti su un divanetto all’interno, vicini alle finestre, per ripararsi in caso di pioggia ma per vedere ugualmente il panorama,  ed Enrica disse che sarebbe scesa a Dusseldorf, dove avrebbe poi preso il treno per Amsterdam. Il viaggio sarebbe durato sei ore circa e lei avrebbe dormito a Dusseldorf per ripartire l’indomani in mattinata per l’Olanda.

La giornata era abbastanza bella, qualche nuvola alta a momenti oscurava il sole, per poi lasciargli di nuovo campo e scomparire all’orizzonte. Le rive erano fiorite, le case si rispecchiavano nell’acqua, le onde provocate dal passaggio dei battelli e dalle chiatte che trasportavano ogni genere di merci si infrangevano contro le piattaforme di legno ed i pontili.

 

Dusseldorf in Bildern - Stadtpanoramen

 

Giunsero a  Dusseldorf in serata e lei lo salutò, dicendo che prendeva un taxi per raggiungere l’albergo che aveva prenotato.  Roberto le chiese allora se poteva tentare di trovare anche lui una stanza nello stesso hotel: non aveva avuto il tempo di riservarla, e non conosceva la città, né a quell’ora c’erano agenzie di viaggio aperte. Enrica fu sinceramente imbarazzata dalla richiesta, ma non se la sentì di essere scortese. Gli rispose che, se voleva, poteva andare con lei, poi avrebbe chiesto al bureau  dell’albergo se avessero una stanza o se potessero procurargliene una altrove. Lui si dichiarò entusiasta della soluzione, e salirono ambedue sul taxi. Per fortuna di Roberto il concierge, gentilissimo, mise a disposizione del giovane una camera singola sullo stesso piano di quella di Enrica.

Le sembrava che un cerchio le si stringesse intorno: in realtà, lui non aveva fatto nulla per farle credere che la stesse circuendo, ma lei avvertiva come il compiersi di un piano ineluttabile di eventi che si succedevano senza che potesse interferire con essi, che non sembravano essere costruiti contro di lei, ma che in realtà le giravano intorno avvolgendola come una intricata matassa. L’indomani lei sarebbe partita per Amsterdam, e lui avrebbe preso il treno con lei. Arrivato in Olanda avrebbe, con lo stesso sistema, preso alloggio magari là dove lei aveva prenotato e avrebbe chiesto, con gentilezza, di poter andare là dove lei andava.

Insomma, anche se non le era sgradito, però questo alterava del tutto il suo programma, non le consentiva di godere di quella libertà, di quel senso di improvvisazione che la vacanza da sola prometteva. Era una forma d’obbligo che le si imponeva senza la sua volontà, ma anche senza che lei potesse, realmente, rifiutare che le cose andassero così come stavano andando. Scese a cena, e lui era già nel salone ristorante dell’albergo. Le si sedette vicino, allo stesso tavolo, senza nemmeno chiederglielo, e lei si infastidì un po’. Dopo cena, Roberto propose di fare una passeggiata per vedere Dusseldorf “by night”, non potendo molto fermarsi l’indomani, ed Enrica dovette riconoscere che era una buona idea. Salì perciò in camera a prendere una sciarpa di lana perché l’aria era umida, specialmente lungo il fiume, poi insieme si avviarono verso il centro e si immersero nel traffico.

 

Dusseldorf - Giardini  pubblici

 

La ritrovarono tre giorni dopo, in un boschetto alla periferia della città. Il suo corpo, ormai lì da più di due giorni, non mostrava ferite, ma segni di soffocamento e di violenza.

La denuncia alla polizia era stata fatta quando il personale dell’albergo aveva trovato la stanza vuota, il letto intatto, i bagagli ancora chiusi. La signorina era uscita con il signore che si era presentato con lei e che aveva richiesto una camera al suo arrivo, diversamente da lei che aveva prenotato per tempo. Il giovane non era più tornato in albergo. Di lui era rimasto uno zaino, che però non conteneva quasi nulla e che non poteva svelare l’identità del proprietario, il quale aveva consegnato al bureau documenti rivelatisi contraffatti all’esame della Polizia.

Il commissario che parlò con i giornalisti affermò che sarebbero state fatte indagini sull’accaduto, ma che di questi eventi, più frequenti nella stagione estiva, quando molte giovani donne partono da sole, se ne verificavano ogni anno di più, né era generalmente possibile, tranne che in pochi casi, individuare i colpevoli, che per lo più erano dei “serial killers”, e si rimettevano in funzione ogni anno, in condizioni per lo più analoghe.

 

La famiglia era stata informata del fatto.

 

Henry Peter - Full moon on the river

 

 

 

Clelia Di Stefano