una rosa d'oro

 

Qualche buon libro,  qualche buon film


 

    Pinocchio

   

   

1-IL  LIBRO E L’AUTORE:

 LA CRITICA DEL SUO TEMPO E QUELLA DI OGGI

Era il 1883 quando Carlo Lorenzini (1826/1890) giornalista e scrittore di Firenze,pubblicò con lo pseudonimo di Carlo Collodi un libro,intitolato “Le Avventure di Pinocchio”,dedicato ufficialmente all’infanzia, ma fruibile,come spesso accade per certi capolavori, da gente d’ogni età.

Infatti le letture che si sono fatte e le interpretazioni che si sono date e si possono dare di Pinocchio sono tante:il che avviene proprio perché il libro, che pure doveva avere un intento pedagogico e che “..mirava ad inculcare una morale della disciplina e dell’obbedienza…” in realtà era “..pervaso da un gusto e da un compiacimento liberatorio della trasgressione e da una vena umoristica che alleggerisce e tinge di ambiguità gli intenti moraleggianti..”

 

L’epoca in cui Pinocchio veniva creato era contrassegnata da un’ideologia di tipo umbertino, paternalistica e ispirata all’etica del sacrificio, del lavoro, dell’obbedienza, della premiazione del merito e della condanna di chi si sottraeva al Dovere, scritto con l’iniziale maiuscola come del resto Patria, Famiglia e Lavoro, e che stava ad indicare un imperativo a cui nessuno poteva sottrarsi,dalla nascita alla morte, neanche un bambino, perché ogni età aveva il suo Dovere,anzi,I suoi Doveri.

Ciò,riferito al periodo storico in cui l’unità dell’Italia era un fatto abbastanza recente,aveva una sua giustificazione: la giovane nazione era ancora troppo debole e bisognosa di acquisire le caratteristiche che potevano rafforzarne il carattere e irrobustirne il popolo.

Per questo “dedizione,sforzo e altruismo”, cioè a dire “sacrificio” di tutti, erano indispensabili per costruire una società moderna che potesse stare al passo col resto degli Stati europei e che consentisse di realizzare “la grandezza della Patria”-

Non è perciò un caso che proprio in questo periodo nascano due delle opere più significative dedicate all’infanzia: “Cuore”  e  “Pinocchio” –

Ma mentre il De Amicis di “ Cuore” affronta il tema assai più importante  della fusione armonica  e della convivenza pacifica delle varie classi sociali nella nuova Italia,il Collodi di “Pinocchio” tratteggia una realtà molto più popolare,un tessuto sociale di povertà e di privazioni sconosciuto  alla maggior parte di coloro che appartenevano  alle classi  culturalmente ed economicamente più dotate.

La storia di Pinocchio, infatti, è la storia di un bambino povero,che ondeggia tra l’aspirazione a vivere normalmente,libero dalle dure necessità quotidiane, e la sgradevole consapevolezza che per vivere è necessario aver denaro e averlo onestamente significa lavorare,il che comporta “ noia,fatica e dolore”.

Papà Geppetto lavora,ma quando il lavoro c’è: se non ce n’è, non c’è neanche denaro per comprare cibo e vestiti.

Il povero falegname dà a Pinocchio che ha appetito tutto ciò che egli avrebbe dovuto mangiare,cioè tre pere, ma se mangia Pinocchio- e mangia lasciando buccia e torsoli,che il padre previdentemente conserva e che il burattino poi, preso dalla fame più nera, divorerà – se mangia Pinocchio,dunque,Geppetto digiunerà.

 

Nasce quindi un altro problema: quando la miseria è tanta, si può conservare la virtù? I facili guadagni,il baluginio dell’oro,il richiamo del divertimento e delle cattive compagnie possono essere respinti  con sdegno?  O, se si è deboli e fragili,se la famiglia –che qui è ridotta all’essenziale,cioè solo al padre e al figlio- non basta a sorreggere i giovani lungo il corso dell’infanzia e dell’adolescenza, di quali Grilli Parlanti e di quali Fate Turchine ci sarà bisogno per ritornare ad essere uomini,anche se ancora sulle soglie dell’infanzia?

  

Il libro, sin dal suo primo apparire, ebbe un grande successo ma fu frainteso, come ben si può capire,perché se ne colse anzitutto il senso fiabesco e fantastico,perché Pinocchio fu additato ad esempio per tutti i bambini,per i quali divennero famosi il Grillo,la Fata,il Gatto e la Volpe, Mangiafuoco,il Paese dei Balocchi e la trasformazione in ciuchi dei bambini disobbedienti  ed ignoranti,l’avventura di Geppetto e Pinocchio nella pancia della Balena.

Dalla narrazione tutti noi da bambini ricavammo insegnamenti indelebili: ad essere disubbidienti non ci si guadagna,rimanendo ignoranti non si cresce nella vita e nella società.

 

Ma Pinocchio vuol dire molte altre cose, che è forse meglio non tutti i bambini capiscano al volo : infatti,non sappiamo ora che siamo adulti,se è meglio vivere come il Pinocchio di legno, che è libero di trasgredire –anche se poi ne piange le conseguenze- o se sarà più felice la vita del burattino divenuto bambino, che, inscatolato ed ingabbiato nelle inflessibili regole del perbenismo borghese umbertino, si avvia ad entrare nella scuola dove diventerà uno scolaro esemplare.

 Non sarà forse questo bambino tirato dai fili di maestri e pedagoghi, il vero burattino della nuova società?

 

2-IL FILM- LA CRITICA

 

E così,dopo aver aspettato più di un anno,abbiamo visto Pinocchio,che dico,Benigni che fa Pinocchio,e,ad onor del vero,fa meglio se stesso che il burattino.

Si, perché come tutte le cose molto attese e di cui si parla troppo,va a finire che questo film pare di averlo visto già,specialmente a chi Pinocchio l’ha conosciuto in tenera età dalle pagine di Collodi senza intermediazioni filmiche, e ora si sente dire che no, Pinocchio non è quello,il burattino-bambino che stenta a trovare la dimensione umana,che va incontro a tante peripezie: è invece questo,con la faccia di un uomo di cinquant’anni che non è bambino e non lo sarà mai.

 

Ma cominciamo dal principio,cominciamo cioè col chiederci quel che tutti si chiedono:questo è il “Pinocchio” di Collodi ?

Dando per scontato che le riletture cinematografiche di un’opera letteraria non possono essere mai fedeli perché,come è evidente,lo strumento filmico ha tempi e scansioni diversi da quelli della scrittura;perché chi pensa di fare il film lo immagina in una chiave personale che magari parte dal libro ma strada facendo se ne allontana insensibilmente,certo un film su Pinocchio è molto difficile che possa essere fedelissimo al testo,non foss’altro  perché ciò vorrebbe dire che chi ha fatto il film di suo non ci ha messo nulla.

E per uno come Benigni, poi, che ,per quanto sia molto cambiato dagli inizi ad oggi,ha sempre avuto difficoltà a restare costretto da un copione, figuriamoci cosa può significare essere impegnato a rispettare un testo così noto come Pinocchio.

 

Ma non potendo troppo mutare della sostanza (pure, qualcosa manca dell’originale, che viene spontaneo rimpiangere:dov’è finito Mastro Ciliegia, dove sono andate le bucce e i torsoli delle pere,emblema della povertà di Geppetto e di Pinocchio, passati in proverbio e qui neanche citati) è mutata spesso la forma. Questo Pinocchio è tutto salti,grida, acrobazie, come se per esprimerne la vitalità interiore non ci fosse altro mezzo che quello fisico,come se per sentirsi liberi si dovesse far per forza tanto rumore.

La storia del burattino è nota e non la ripeteremo: ma le generazioni più recenti Pinocchio non l’hanno letto, lo hanno visto solo a cinema. Perciò,al più, faranno il paragone tra il film di Benigni e quello di Disney, e il rischio per l’attore italiano, di cui per altro egli è consapevole, è che in America non accettino questa trasposizione dove un adulto con una vocina  contraffatta interpreta la parte  di un burattino che ha le caratteristiche di un bambino.

E’ difficile dire la verità su questo film:è come il celebre racconto che si intitola “I vestiti nuovi dell’imperatore”,in cui tutti sanno che l’imperatore è nudo ma sanno anche che devono far finta che abbia addosso un nuovo elegantissimo vestito.

Tutti dicono che il Pinocchio di Benigni è un film meraviglioso.

Noi  pensiamo che sia un film girato con entusiasmo e senza risparmio di mezzi,che gli attori abbiano dato il meglio di sé, che Benigni,come al solito, si dimostri un attore consumato all’interno e al di fuori del set, dove, a chi lo intervista,rilascia  dichiarazioni che fanno restare dei dubbi circa la sua buona fede.

Il primo è quello relativo alla filiazione dell’idea di Benigni da quella di Fellini: fare un film su Pinocchio. Quasi un’eredità morale(“…il Pinocchio lo farai tu…”),un imperativo categorico cui non ci si poteva sottrarre..o un autorevole precedente citato al momento opportuno per spianare la strada al nuovo film?

E che dire dei continui richiami agli Oscar de “La vita è bella”?

Infine - e più che un dubbio è una supposizione –quanto avrà giovato a Benigni-Pinocchio la Fata Turchina,alias Nicoletta Braschi, la silenziosa ma efficiente moglie dell’attore?

Non sarà un caso che da quando si è sposato con lei le sue  scelte lavorative  hanno subito un’impennata vero l’alto: maggior cura nella scelta  dei copioni e dei partners, films girati in autonomia di decisioni e di finanziamenti,  apparizioni più rare in TV,e, di recente, un linguaggio più controllato e gesti meno volgari.

Certamente, così ridimensionato, Benigni sa di costruito e preordinato,come le citazioni dotte tirate fuori da Freud e da Dante Alighieri.

Appare più disinvolto e autentico quando recita nel film e fa un Pinocchio a sua immagine e misura.

Ma nel film appunto appare Benigni: l’ombra di Pinocchio,alla fine, va via, come quella di Peter Pan.

 

(Robin.)

 

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