Una rosa d’ oro

 

Qualche buon libro

                      Qualche buon film

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ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

 


Keira Knightley

Un’epoca in un libro

 

Il testo originale da cui è tratto il  plot dall’omonimo titolo è un classico la cui irrinunciabile lettura rende edotti su tutti o quasi gli aspetti della società di fine Ottocento di un’Inghilterra nel pieno della sua fioritura vittoriana che, come ben si sa, informò di sé tutta l’Europa.

 

Jane Austen, autrice del libro, che ad esso dovette la maggior parte della sua fama, seppe rendere con un realismo incisivo e talvolta impietoso  le caratteristiche dei personaggi che popolano fittamente le pagine e rendono vivace e ininterrotta la narrazione dei fatti.

 

Gli avvenimenti si svolgono in una villa della campagna inglese in usufrutto ad una famiglia costituita da padre, madre e cinque figlie femmine, tutte destinate al matrimonio in mancanza di altro mezzo di sopravvivenza, per realizzare il quale non guarderanno alle qualità fisiche o morali del probabile futuro sposo ma solo alla sua rendita, purché essa sia sufficiente a condurre una dignitosa esistenza borghese.

E’ questa la filosofia di vita a cui ha ispirato i suoi principi educativi la madre delle cinque signorine candidate ad ogni costo alle nozze che hanno ben appreso la lezione, tranne una di esse, che invece ritiene giustamente, ma senza l’approvazione materna, che una donna non debba necessariamente sposarsi - specialmente se non c’è l’amore- con il primo venuto.

 

Mentre la vita della famiglia in questione scorre serena tra un ballo ed una festa, accadono eventi destinati a sconvolgere la tranquilla vita dei protagonisti.

Giunge alla loro villa il legittimo erede della proprietà e ne rivendica la restituzione, gettando nella costernazione la madre che si rende conto, così, di non poter presentare le figlie in una degna cornice ai probabili pretendenti.

In una villa vicina, invece, giungono due  giovani, nobili e ricchi, che vengono subito presi di mira quali probabili candidati alla mano di qualcuna delle cinque fanciulle da marito.

Le manovre di avvicinamento della Signora Bennet, madre  di cotanta prole, sono evidenti e irritano la figlia Elisabeth, che si vergogna di essere posta in mostra dalla genitrice, insieme alle sorelle, ed esibita nei ricevimenti e nelle occasioni di pubblico incontro allo scopo di sollecitare l’interesse dei due giovani.

Uno di loro, piuttosto distaccato e critico nei confronti delle donne, resta comunque affascinato da Elisabeth, che mostra di non tenerlo in nessun conto proprio a causa delle di lui idee e dei pregiudizi che il giovane gentiluomo nutre nei confronti delle signorine graziose e intelligenti ma prive di beni di fortuna.


Mattew MacFayden

Nel romanzo Jane Austen fa notare come per una donna di fine Ottocento non fosse un titolo di merito essere intellettuale e colta, e come la cosa anzi deponesse male nell’opinione comune che la società dell’epoca aveva di una fanciulla che  doveva sposarsi e divenire madre di famiglia.

La cultura rappresentava infatti un pericolo per le donne, perché la conoscenza  rendeva inclini ad una visione critica della società e questo faceva di loro esseri inquieti  pronti a giudicare il prossimo e sopra tutto gli uomini, denunciandone i discutibili comportamenti.

Ma la fine dell’Ottocento era un periodo in cui il Romanticismo aveva diffuso idee contraddittorie: se da un canto le donne rivendicavano autonomia di giudizio e indipendenza nelle decisioni, dall’altro erano vinte dall’amore a cui riservavano la parte migliore di sé.

 

La  protagonista del romanzo ne è un esempio.

Vinta dalla gratitudine per il gentiluomo che, per amor di lei,  ha  salvato le vacillanti economie di un ufficiale, promesso sposo di una delle sue sorelle minori, consentendogli così di convolare a nozze, Elisabeth cede alle pressioni di lui  e si ricrede sul suo conto scoprendone le buone qualità che i pregiudizi del tempo gli impedivano di mettere in evidenza.

Si potrebbe dire che il buon senso trionfa, ma trionfa anche l’amore.

Jane Austen , pur senza essere considerata una grande scrittrice,  mostra di possedere delle buone capacità di scavo psicologico dei personaggi, e la sua abilità nel dipingere le caratteristiche della società del tempo offriranno materia a diversi registi per trasporre prima sul palcoscenico, poi sul grande schermo le vicende di un’epoca oggi di grande interesse.

Un film che è un “remake”

Si è detto che il romanzo di Jane Austen, per la sua capacità evocativa di un’epoca, ha esercitato un fascino che si è mantenuto valido nel tempo su più di un regista teatrale e cinematografico.

 

Il primo film che traeva spunto dal libro in questione fu quello diretto da Robert Z. Leonard nel 1940, i cui attori principali erano Lawrence Olivier e Greer Garson, indimenticabili protagonisti non solo di una vicenda personale e di un amore contrastato e romantico, ma di un evento caratteristico di un’epoca in cui cambiavano molte usanze e si incrociavano tendenze alla modernizzazione.

 

 

Queste potevano essere, nel romanzo e nel film, la concezione della cultura allargata alle donne, un matrimonio interclassista, il tentativo di considerare altre doti femminili che non fossero solo quelle domestiche.

 

Il film di Leonard è rimasto per lungo tempo l’unico esempio di trasposizione filmica, mentre si proponevano diverse riletture teatrali dell’opera.

Ma nel 2005 un regista inglese ha voluto tentare di  realizzare il “remake” del film americano di 65 anni prima.

Chi si pone come secondo nell’elenco di riproduzioni artistiche deve essere pronto quanto meno ad affrontare il penoso calvario dei paragoni: e il regista Joe Wright, che si è esercitato prima come autore di cortometraggi, telefilm ed altri prodotti similari, ha scelto di  avere la sua prima esperienza  filmica proprio con questo “remake”, mostrando un coraggio notevole  ed anche una certa abilità nella ricostruzione dei luoghi e dell’atmosfera della location fin-de-siècle.

 

Gli attori principali, ossia Keira Knightley-Elisabeth e Mattew MacFayden-Mr.Darcey hanno forse dei tratti un po’ troppo attuali, e tutti gli altri attori, per quanto si siano sforzati di calarsi nei personaggi, sono rimasti per così dire all’esterno di essi, nel senso che non “pensavano” e non agivano come uomini e donne dell’Ottocento, ma come persone di oggi travestite da gente di ieri.

 

La ricostruzione dell’ambiente , la scenografia, le usanze del tempo sono sufficientemente rispettate, ma l’eccessiva vivacità dei personaggi è alquanto incredibile in un’epoca che era pedissequamente rispettosa dell’etichetta e risentiva dei principi vittoriani.

Il personaggio del padre, qui rappresentato da Donald Sutherland, appare antiquato rispetto all’epoca degli avvenimenti: le chiome eccessivamente lunghe, la figura sciatta e poco adatta al personaggio così come lo aveva immaginato Jane Austen non  rendono pertinente l’interpretazione di un attore che in altre circostanze ha rivestito i panni di personaggi ben più importanti.

Anche la Signora Bennet, ossia la madre delle ragazze da marito, risulta esagitata oltre misura, forse con un tocco di volgarità che nel testo fortunatamente manca.

Qualcuno potrebbe dire che un film non è obbligato a seguire il testo da cui è tratto, perché verrebbe limitata così facendo la creatività del regista.

 

Noi rispondiamo che allora è meglio non legarsi ad un testo scritto e immaginare una storia ex novo, in cui si potrà lasciar fare agli attori quel che si vuole.

Se ci si appoggia ad un libro creato da uno scrittore, quanto meno si devono rispettare i caratteri dei personaggi.

Nel complesso il film perde perciò la sua caratteristica di novità che il testo scritto dalla Austen aveva e che il plot del 1940 riusciva a rendere

per una leggerezza formale che nulla toglieva alla serietà dei temi affrontati, là dove questo lavoro del pur volenteroso regista Wrigth si limita a raccontare una storia d’amore qualsiasi che dopo qualche iniziale difficoltà giunge all’auspicata felice conclusione ma da cui sono scomparse tutte le problematiche che conferivano al testo una giustificazione culturale.

Kate Catà.

 

 

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