una rosa d'oro

 

Narrativa


 

Lo Straniero*

 

 

Racconto

di

Clelia Di Stefano

 

 

 

 

Sotto il sole impietoso del mezzogiorno la campagna si stendeva, arsa e brulla, sino al limite estremo del mare, striscia lontana d’azzurro, fiancheggiata da pochi alberi di ulivo dai tronchi nodosi e contorti.

Un giovane uomo, seduto per terra all’ombra di un albero con pochi rami quasi privi di foglie, guardava il paesaggio che ormai gli era divenuto familiare, e ancora una volta si sentiva come rassicurato perché quell’immagine somigliava tanto alla visione, che egli conservava nel cuore e nella mente, della sua terra d’origine, non lontana dal luogo dove egli si trovava, di là da quel mare che si scorgeva da lontano, oltre il quale, egli lo sapeva, era il suo paese, da cui era fuggito ma in cui avrebbe voluto, se soltanto avesse potuto, tornare anche subito.

 

Prese da un sacchetto di plastica che si era portato dietro per tutta la mattina un pezzo di pane e uno di formaggio, e mangiò avidamente, bevendo da una bottiglia dell’acqua tiepida ed insipida, che gli fece rimpiangere la fresca acqua che sgorgava dalle rare fontanelle del suo paese.

Quando ebbe finito di mangiare, tornò al lavoro, riflettendo sul fatto che avrebbe preferito fare quello che faceva prima di venire in questa terra sconosciuta, e che ormai gli accadeva di poter fare solo di tanto in tanto.

Egli era stato infatti sin da piccolo un pescatore, ma ora, che bisognava adattarsi a fare qualsiasi mestiere per guadagnarsi da vivere, faceva il contadino, il manovale, l’operaio edile e, all’occorrenza, anche i lavori domestici nelle case di chi aveva bisogno di un collaboratore familiare.

Tuttavia non si lamentava: qualunque lavoro era tollerabile purché fosse ben pagato, e qui, in questo luogo dove era giunto da clandestino su un barcone insieme ad altri centocinquanta fra uomini, donne e bambini, il lavoro non mancava, purché si accettasse senza pretendere troppo.

 

 

D’estate lavorava in campagna, sino al tempo della vendemmia, poi d’autunno lo cercavano per andare a pescare, e poiché quello era il lavoro che sapeva fare meglio, egli andava volentieri, e si sentiva in quelle occasioni meno estraneo alla gente che gli stava intorno e ai luoghi dove era costretto a vivere: quella del mare era una dimensione che conosceva già, e appena saliva su una barca sentiva i polmoni allargarsi mentre respirava l’odore di salmastro per lui così familiare.

 

Il caldo del mese d’agosto era in questa terra veramente insopportabile, gravato da una pesante umidità che veniva dal mare, così che, pur essendo inferiore ai quaranta gradi del suo paese, l’afa lo opprimeva e gli rendeva faticoso ogni gesto.

Era tuttavia una terra da vangare e ripulire dai sassi, le cui zolle, indurite dalla siccità dei mesi estivi, dovevano essere frantumate col piccone una per una se si voleva rendere il terreno adatto alla coltivazione. Era un lavoro duro, che, lui lo sapeva bene, i contadini del luogo non volevano fare, e per questo i proprietari cercavano manovalanza straniera, più a buon mercato e disponibile a qualsiasi trattamento pur di lavorare.

La giornata ora volgeva al tramonto, e fra poco sarebbe passato il camioncino che lo avrebbe riportato al paese, poiché il terreno da dissodare era molto lontano dall’abitato e non sarebbe stato possibile recarvisi a piedi. Nei tempi antichi i contadini andavano a lavorare a dorso di mulo, e per arrivare lì alle otto del mattino partivano da casa alle quattro di notte, ma ora gli stessi proprietari riconoscevano che era più conveniente trasportare i lavoratori a loro spese e farli arrivare in zona freschi di forze e ben riposati piuttosto che obbligarli a dormire poche ore la notte e lavorare di cattivo umore durante il giorno con scarso rendimento.

 

Raccolse perciò le sue povere cose, tra cui un giubbotto che non indossava mai, ma che nelle numerose tasche conteneva tutti i suoi tesori, i documenti, i soldi che aveva risparmiato tutto il mese per mandarli poi alla famiglia, le fotografie della moglie, dei figli, dei genitori e dei fratelli, il contratto di abitazione del tugurio che condivideva in paese con altri cinque emigrati come lui, le chiavi di casa e il prezioso telefonino cellulare, il primo segno tangibile della sua nuova condizione di lavoratore che, con quello status symbol in tasca, dimostrava  ai compaesani di aver raggiunto una sistemazione economica soddisfacente nella terra straniera dove era fortunosamente arrivato rischiando la vita.

Altri, venuti qui contemporaneamente a lui, ancora non avevano un lavoro stabile, e per comunicare con le famiglie si recavano nei negozi specializzati dove si poteva telefonare in patria, ma pagavano un prezzo esoso, che sapeva di sfruttamento e di speculazione. Perciò lui, sull’esempio di altri che gliene avevano parlato, per prima cosa aveva raccolto i soldi per comprare il cellulare, pur di potere chiamare i familiari e sentire la loro voce, per ascoltare l’idioma natio, per rendersi conto di essere ancora legato ai suoi sia pure da uno strumento che riusciva a far sembrare vicino un mondo che era invece così lontano. 

 

 

Sul  camion sgangherato che lo trasportava in paese c’erano più di cinquanta braccianti che avevano lavorato tutto il giorno, cinquanta facce distrutte dalla stanchezza, gente sporca di terra, di cemento, di polvere, maleodorante di sudore, vestita di abiti lerci, che parlava lingue diverse o che comunicava a gesti.

C’era anche un piccolo gruppo di donne, alcune delle quali, col capo coperto e vestiti lunghi sino a terra, parlavano la sua lingua. Restò a lungo a guardarle, e una specialmente attirò la sua attenzione. Era una donna giovane, dagli occhi vivaci, con dei ciuffi di capelli ricci che sfuggivano al velo strettamente annodato sulla testa e intorno al collo, che se ne stava un po’ in disparte, con un atteggiamento  superbo,  quasi disdegnasse tutti quelli che le stavano attorno. Malgrado vestisse, non diversamente dalle altre donne, vesti povere e lise, aveva  un aspetto diverso da quello delle compagne di lavoro.

 

Lui non osò rivolgerle la parola davanti a tutti, ma quando arrivarono in paese e scesero dal camion, si fermò un attimo a guardare se c’era qualcuno ad aspettarla, come accadeva a tutte le altre donne, e si accorse con sorpresa che lei andava via da sola, scomparendo tra le intricate viuzze che si partivano dalla piazza  del piccolo centro verso la periferia. Sentendosi osservato dai suoi connazionali -o, per lo meno, così gli pareva- non ebbe il coraggio di seguirla, e si incamminò anche lui per una strada che saliva verso la montagna e portava alla casa che condivideva  con gli altri compagni.

Mentre procedeva con passo spedito, si accorse, passando per una traversa che metteva in comunicazione diverse strade, che lei faceva un percorso parallelo al suo, e che, volendo, avrebbe potuto raggiungerla.

Non ci pensò più di un attimo, e con poche falcate attraversò la strada e subito le si mise a fianco.

Lei lo guardò, come se si fosse aspettata di vederlo, e non mostrò paura né sorpresa, anzi, sulle labbra sembrava aleggiarle un sorriso.

 

 

-Come ti chiami?- le chiese. Lei rispose con semplicità, rivelando solo il nome, quasi a non volergli dire tutto di sé in una volta e non gli chiese a sua volta come lui si chiamasse. Ma il giovane non parve accorgersi dell’indifferenza di lei e le disse spontaneamente il suo nome, chiedendo ancora da dove venisse, perché fosse in quel paese, che lavoro facesse, dove stava. La donna rispondeva con poche parole, senza dilungarsi oltre il necessario,  ma lui seppe quel che gli bastava. Veniva dal suo stesso paese, ed era fuggita per sottrarsi al carattere violento dell’uomo che l’aveva sposata, terza delle sue quattro mogli, e che la considerava colpevole di non avergli dato dei figli.

Perciò era disprezzata da lui e dalle altre sue consorti, le quali, fingendo di ignorare che lei proveniva da una famiglia benestante e degna di rispetto, pretendevano di essere servite da lei, colpevole di essere sterile, come da una schiava.

Temeva di poter essere ritrovata e ricondotta dal marito, ed era disposta a continuare a fuggire, ad andare più lontano, per non tornare mai più dov’era nata. Attendeva con ansia che le concedessero il certificato di soggiorno per andare in una grande città più distante, per fare perdere le sue tracce.

Abitava in una stanza ricavata da una stalla, però linda e pulita, che condivideva con una donna di un paese più lontano del loro, con cui però avevano in comune la fede islamica e di cui comprendeva il linguaggio, simile al loro. Aveva raccolto un po’ di soldi per pagare il biglietto del viaggio quando fosse stata in possesso del documento che le avrebbe consentito di muoversi liberamente sul territorio nazionale.

 

Lui le disse di sé, come fosse partito perché era senza lavoro, che aveva una moglie e due bambini, che già era lì da quattro anni e che aspettava anche lui lo stesso documento di lei, per poter andare a riabbracciare la famiglia sicuro di poter tornare poi di nuovo a lavorare nel paese che gli consentiva il soggiorno autorizzato.

Mentre parlavano, erano giunti davanti al casolare dove lei abitava, e videro da lontano, seduta davanti ad una porta, una donna che stava come in attesa, le mani in grembo, un velo sul capo.

-E’ la mia compagna- disse lei -quella con cui abito. Se vuoi, puoi venire a trovarci, siamo due donne, diremo che sei un nostro parente, se dovessero chiedercelo. Siamo sole tutte e due, ci darai conforto con la tua presenza!-

Lui non credeva quasi alle sue orecchie: nessuna donna del suo paese avrebbe osato dirgli quelle parole, per il timore di essere considerata una poco di buono, ma questa era così innocente, che non si poteva non crederle. Gli sembrò di avere incontrato una creatura irreale, che fosse capitata sulla sua strada per toglierlo dalla solitudine che lo avvolgeva come un bozzolo da quando era giunto in questa terra, che pure gli era amica per tanti versi ma non poteva offrirgli il conforto di un affetto familiare. Tranne quelli con i suoi connazionali, che lo trattavano amichevolmente, egli non aveva altri rapporti di amicizia, né, data la sua condizione di straniero, sposato per di più, poteva sperare in un rapporto di coppia, a meno che non prendesse un’altra moglie, perché glielo permettevano le leggi religiose e le leggi civili del suo paese, ma in ogni caso avrebbe dovuto essere una donna approvata dalla moglie preesistente.

Le disse intanto che la ringraziava dell’invito, che sperava di rivederla l’indomani, sul camion, e che si meravigliava di non averla mai vista prima. Ma lei rispose che prima andava con un altro camion perché lavorava per lo stesso padrone ma in un’altra sua proprietà. Adesso avrebbe invece viaggiato sul camion su cui l’aveva incontrato quella sera.

 

 

Quando si salutarono lei gli sorrise, e lui sentì una piccola speranza accendersi nell’anima.

L’indomani fu in piazza per tempo, ma quando lei arrivò non le si avvicinò. Non voleva che gli altri si accorgessero del suo interesse per lei, perché qualcuno che lo conosceva e conosceva anche sua moglie avrebbe potuto rivelare il fatto ai parenti rimasti in patria che potevano informarla.

Appena scese alla fermata prossima al posto di lavoro le fece un segno impercettibile col capo, come a dirle che si sarebbero rivisti la sera, e lei gli sorrise.

Andò al lavoro col cuore leggero e tutto il giorno canticchiava tra sé a fior di labbra una nenia del suo paese, un motivo che si ripeteva continuamente, ossessivo ed avvolgente, una canzone d’amore tradizionale, che tutti conoscevano e risuonava spesso anche per le strade.

 

 

Il tempo passò presto, giunse il camion e lui salì d’impeto urtando alcuni braccianti seduti sul pianale del mezzo, che si lamentarono maledicendolo.

Tra la selva di facce e di teste che gremivano l’autocarro non gli riusciva di vederla. Non si diede pace per un po’, in seguito si disse che sarebbero arrivati al paese e scendendo dal camion l’avrebbe comunque vista.

 

 

Ma quando giunsero in prossimità del paese trovarono la strada sbarrata dalla polizia, posti di blocco e controlli a vista dei documenti d’identità per chiunque entrasse nel paese o ne uscisse. Chiese di scendere: avrebbe fatto il resto della strada a piedi e avrebbe atteso il camion sulla piazza.

I poliziotti guardarono i suoi documenti e lo lasciarono passare, lui dopo pochi metri si rivolse al cameriere di un bar che stava a braccia conserte davanti la porta del locale e gli chiese se sapesse cosa era successo.

Quello rispose che la polizia aveva trovato una donna che era stata assassinata a coltellate. Si trattava di un’extracomunitaria, che, come dicevano, era scappata dal suo paese per allontanarsi dal marito, ma lui l’aveva inseguita, trovata ed uccisa.

I carabinieri, avvertiti da un passante, l’avevano rinvenuto per terra su una strada vicina al paese dove lei si era trascinata, probabilmente nell’estrema speranza di trovare qualcuno che l’aiutasse e dove poi era morta dissanguata.

Quanto al marito, era fuggito senza lasciare traccia.

 

Mentre il cameriere raccontava il fatto, il giovane era impallidito ed era sconvolto al punto da svenire, così che l’altro lo invitò ad entrare nel bar per riprendersi e bere un sorso d’acqua.

Quando si riebbe, uscì per la strada inebetito e come ubriaco.

La sorte gli aveva offerto due giorni di grande felicità, di speranza, di castelli in aria, due giorni nei quali aveva ritrovato il piacere di vivere che lo aveva abbandonato da quando era lontano da casa, ed ora brutalmente gli sottraeva colei che di questi momenti di felicità immaginaria era stata l’ispiratrice.

Tra le nebbie del dolore che lo attanagliava lasciandolo senza respiro comprese una sola cosa, che lo folgorò come un lampo di luce: di quella donna lui, per la prima volta nella sua vita, si era improvvisamente innamorato e certamente anche lei si era invaghita di lui.

Ma, come si raccontava nelle storie del suo paese, dove tutti si sposavano per ubbidire al padre e alla madre con la donna che essi sceglievano come moglie per il figlio, l’amore porta sfortuna, e per sposarsi è meglio non essere innamorati.

L’amore era e restava un pericolo, un rischio di morte, un gioco d’azzardo, dove chi gioca vince se fugge, ma se perde, mette a repentaglio la vita.

Ora egli aveva rischiato di morire, perché se qualcuno avesse saputo del suo amore per lei e lo avesse detto al marito, certo quello avrebbe ucciso anche lui.

Era stato dunque il volere di Allah che aveva deciso per il meglio.

 

 

Si inginocchiò sulla strada polverosa e poggiando la fronte sul suolo ringraziò il suo Dio di averlo salvato.

 

 

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 * Questo racconto ha vinto il primo Premio per la Narrativa al Concorso indetto dalla Città di Villafrati - Premio Vincenzo Guastella – in occasione della Terza FESTA del LIBRO - 4 ottobre 2009 -

 

 

Clelia Di Stefano