una rosa d'oro

 

Commenti e critiche


 

 Immigrazione clandestina : un problema da risolvere

 

Giulio Turcato

Composizione,1956

L’argomento è senza dubbio uno fra i più controversi e fra quelli che mette difficilmente d’accordo sia privati cittadini che autorevoli personaggi del mondo politico internazionale.
In genere politici,sociologi, antropologi hanno sempre pronte numerose teorie, sulla cui sostanza si è discusso e si continua a discutere, con una dose massiccia di ipocrisia, dettata dalla necessità di mantenere evidente la propria appartenenza ad una matrice ideologica che non è opportuno tradire,pena l’esclusione dall’Eden.
Solitamente ,quando si parla di immigrati, si esorta all’accoglienza, alla tolleranza, alla convivenza pacifica.Si consiglia di accettare il multiculturalismo globale, le diverse appartenenze socio-culturali.
Si tenta di persuadere che l’Occidente europeo,ormai esangue,ha bisogno di una linfa vitale nuova, che solo gli immigrati possono offrire. 
Ma in realtà le cose non stanno come si vuol far credere: basta rifletterci per comprendere,con l’aiuto di qualche reminiscenza storica.



I FLUSSI MIGRATORI

Le migrazioni sono sempre state un fenomeno ben noto, che ha conosciuto alterne vicende nell’ambito delle epoche storiche ,con maggiori o minori incrementi,determinati da cause belliche, naturali, economiche e di altra natura.
In tempi più antichi le migrazioni riguardavano interi popoli, o parte di essi,laddove in epoche più recenti il flusso migratorio si è configurato come un fenomeno che ha riguardato individui singoli, costretti ad emigrare dal paese di origine per tre motivi fondamentali: o in cerca di asilo politico, o come rifugiati, o in cerca di lavoro, per guadagnare denaro da inviare alla famiglia rimasta nella terra di provenienza.
Sino al secolo scorso,i paesi dove si emigrava erano per elezione quelli d’oltreoceano,l’America del Nord e del Sud,l’Australia, e, per l’Europa, i più ricchi del tempo:Francia,Inghilterra,Germania,Belgio.
L’Italia era un paese piuttosto povero, i cui figli conoscevano da tempo la via dell’esilio volontario per la ricerca del lavoro , emigrati per estrema povertà e piegati ai lavori più umili in terra straniera,spesso sfruttati e maltrattati,senza osare rivendicare diritti né imporre le proprie usanze e la propria religione o chiedere la partecipazione alla vita politica del Paese che li ospitava, come oggi avviene.
Poi le condizioni del nostro paese sono mutate.Anche se il tasso di disoccupazione rimane alto,l’Italia è divenuto uno dei paesi più industrializzati del mondo, e la sua posizione geografica, al centro del Mediterraneo,l’ha sempre reso un luogo appetibile per coloro che tentano di raggiungere la libertà fuggendo da regimi politici costrittivi, o una condizione umana ed economica più accettabile,un lavoro ed un futuro per sé e per i propri figli.
Da più di 30 anni perciò l’Italia vede sbarcare sulle sue spiagge – e sono tante-immigrati che spesso,a poca distanza dalla terra promessa,vengono sommersi dalle onde facendo naufragio.
L’emigrazione oggi avviene con un flusso che si propaga dal Sud del mondo e dall’Est europeo verso l’Europa occidentale: e la prima sul cammino verso una nuova vita è l’Italia.
Ma sino a che punto il nostro Paese potrà sopportare quest’onere, che si fa di giorno in giorno sempre più gravoso? 
Quando ci si fa questa domanda, subito qualcuno corre a ricordarci le migliaia di emigrati italiani che lasciarono il suolo della Patria tra la fine dell’’800 e gli inizi del ’900: chi fa queste affermazioni, o non conosce la Storia o è in malafede.
Infatti le condizioni e le motivazioni di quell’emigrazione non furono le medesime del flusso migratorio che spinge oggi la popolazione del Terzo Mondo o dei paesi dell’Europa dell’Est verso la nostra terra.
I nostri compatrioti andavano a lavorare in terre come l’America dove c’era effettivo bisogno di braccia da lavoro, tant’è che, quando le richieste diminuirono, furono fissati anche livelli insormontabili di immigrazione strettamente osservati e il flusso migratorio diminuì sino a cessare in molti casi. 
Gli immigrati clandestini che invece oggi pervengono con ogni mezzo nel nostro Paese sono attratti soprattutto dalla estrema facilità con cui è possibile entrare nel nostro territorio, restarvi o passare da lì ad altri Paesi Europei.
Non solo infatti non è in funzione alcun deterrente per scoraggiare quest’assalto quotidiano che potrebbe addirittura , ad occhi meno sprovveduti di quelli dei nostri governanti, apparire programmato da Stati mediterranei ben consapevoli di invadere pacificamente il nostro spazio vitale, ma è addirittura ben nota la disponibilità e l’accoglienza che viene adottata dalla nostra Marina militare e dal nostro Governo nei confronti dei disperati che vengono trasportati a rischio della vita sulle famose “carrette del mare” sino alle nostre sponde.

 

Bruno Munari 

Negativo-Positivo,1953

 

 



I TIMORI PER UNA EMIGRAZIONE INCONTROLLATA


Tutto ciò reca non pochi danni economici e non indifferenti difficoltà esistenziali.
Isole come Lampedusa e Pantelleria, che erano gioielli naturali,oasi di pace e tranquillità,meta del turismo internazionale,sono esauste ormai per il gravame del continuo sbarco di genti d’ogni razza.
Arrivano da vivi ma anche da morti: se un cargo di disperati affonda nel Canale di Sicilia o poco distante dalle coste dell’Isola,i corpi esanimi finiscono con l’essere ritrovati sulle spiagge o vengono raccolti dalle barche dei pescatori e dalle motovedette della Marina militare italiana.
I sindaci di Pantelleria e Lampedusa si sono rimboccati le maniche e lavorano materialmente con i loro concittadini: per accogliere i clandestini non hanno più letti né case, per seppellirli non hanno più bare e non fanno in tempo a fabbricarne di nuove.
I bambini al mattino si recano sulle spiagge, in riva al mare, e restano annichiliti dinanzi all’orribile spettacolo dei morti che arrivano portati dalle onde e dilaniati dai pesci.
Sulle coste dell’Adriatico, da Brindisi, Bari, sino ad Ancona e Rimini, si ripete il rituale dell’arrivo degli emigrati dell’Est europeo. 
Se quelli che arrivano da Sud sono disperati in cerca di un lavoro qualsiasi, questi che vengono dai paesi slavi non di rado hanno già un conto aperto con la giustizia del loro paese. 
Entrano nel nostro e continuano a rubare, a ricattare, ad organizzare traffici illeciti e prostituzione delle donne dei paesi propri e altrui, le schiavizzano per sfruttarle,le costringono ad una vita disgraziata e infelice, loro che dovrebbero sapere bene cos’è la povertà e che invece appena fanno un po’ di denaro cominciano ad andare in giro con vistose macchine di grossa cilindrata, spesso rubate nel nostro o in altri Paesi. 
Rapinano, uccidono, si introducono nelle case e derubano la gente più debole ed inerme, spesso vecchi e persone che vivono in case di periferia.
Non passa giorno che i giornali non diano notizia di qualcuna delle loro prodezze.
La Polizia e i Carabinieri moltiplicano i loro sforzi e la sorveglianza, ma le situazioni sono tali e tante che dovrebbero avere cento occhi come Argo.






RESPONSABILITA’ DELLE COMUNITA’ NAZIONALE ED EUROPEA


L’Europa assiste inerte a questa silenziosa ma continua invasione come se il problema fosse solo dell’Italia, e, paradossalmente, non mancano da parte di molti paesi europei i rimproveri più o meno velati che ci vengono rivolti perché è attraverso l’Italia che passa il maggior numero di immigrati clandestini.
I nostri governanti affrontano la questione in modo obliquo e ambiguo, non prendono soluzioni radicali: non si potrebbero certo gettare a mare gli emigranti anche se clandestini, né gli si può sparare addosso,.ma si potrebbero cercare contatti efficaci con i paesi da cui si sa con certezza che partono le imbarcazioni sempre precarie su cui arrivano sino alle nostre coste giovani, vecchi, donne, bambini.
Gli unici contatti che l’Italia è riuscita ad avere con paesi stranieri che mandano 300/400 emigranti clandestini al giorno ci hanno visto ancora una volta perdenti: questi Paesi si sono impegnati a non fare uscire dal loro territorio gli emigranti a fronte di grosse somme erogate dal nostro paese sotto forma di aiuto economico,ma in realtà donate a fondo perduto.
Poi, siccome per questi paesi i documenti firmati e la parola data sono solo validi sino al momento dell’accordo e pochi minuti dopo non più,ecco ricominciare il flusso di emigranti verso le nostre coste, mentre l’Italia ha perduto soldi che i contribuenti versano con la speranza di averne vantaggi che vedono sfumare. All’orizzonte intanto si profilano altre barche straniere cariche di gente disperata che non si sa più come e dove ospitare.

 




CONDIZIONI DI VITA E DI ACCOGLIENZA


Il lungo viaggio verso il nostro paese, privo di ogni comfort e spesso anche del cibo e dell’acqua, che viene impedito di portare perché hanno un peso che può essere l’equivalente di altre persone a bordo,somiglia sempre di più a quello che gli schiavi facevano verso l’America circa tre secoli fa, con la sola differenza che ora questi emigranti vengono di loro volontà,pagando per giunta i loro negrieri 
che non si sa se li trasporteranno sino a terra o se li butteranno in mare in vista della costa italiana pur sapendo che molti di loro non sanno nuotare.
Appena arrivati,vengono soccorsi e avviati nei centri di accoglienza, da dove, dopo qualche giorno, in modo non troppo chiaro, si disperdono nell’entroterra del nostro paese, forniti ormai di un documento rilasciato dalle autorità italiane che li autorizza a circolare liberamente sul nostro territorio per sei mesi,entro i quali,in teoria, dovrebbero trovare un lavoro e un datore di lavoro che si impegna a pagare la tassa d’ingresso nel nostro paese e i contributi assicurativi.
Ma poiché ormai la maggior parte degli immigrati clandestini appartiene ad etnie già presenti in Italia e già ben organizzate, che si tassano per aiutare i connazionali in arrivo, almeno per i primi tempi, gli immigrati seguono mediamente una trafila, che è quella di arrangiarsi a fare lavoretti alternativi, come i guarda-macchine abusivi, o i pulisci-vetri ai semafori, o a rivendere accendini e fazzoletti di carta, o a chiedere, tra un lavoro e l’altro, anche l’elemosina.In ogni caso hanno a disposizione già un tetto, mangiano e dormono a spese del paese ricevente o della loro comunità di origine, cosa che agli immigrati di uno-due secoli fa non accadeva.
Intanto, col sistema del “passa-parola”, comincia ad arrivare il lavoro, generalmente un lavoro non qualificato, lavori domestici a 5/6 euro l’ora,lavori di pulizia nei condomini, nei garages, nei ristoranti, nei bar,in tutti i luoghi dove c’è bisogno di pulire o di fare lavori pesanti, come battere tappeti, sollevare pesi, caricare o scaricare merci.
Se gli immigrati si trovano in zone agricole dove scarseggia la manodopera locale, le possibilità di trovare lavoro sono abbastanza buone:talvolta si tratta di lavoro stagionale,come la raccolta della frutta di media/piccola pezzatura, o del pomodoro,come avviene in Campania.
Poi, man mano che incominciano ad imparare la lingua italiana, la qualità del lavoro va migliorando.Si passa ai lavori organizzati, come la consegna di merce a domicilio, la cura e l’accompagnamento delle persone anziane,la pulizia e la tenuta di ville e giardini, lavori retribuiti non più ad ore ma mensilmente.
Se poi nel loro paese di origine gli emigrati avevano studiato e addirittura conseguito un titolo di studio, se conoscono l’inglese oltre che l’italiano, possono anche arrivare ad avere posti di responsabilità.



LAVORO E SOGGIORNO DEGLI EMIGRATI


Da più parti viene manifestato il dubbio che lo spazio lavorativo che gli immigrati vanno ad occupare è uno spazio che dovrebbe/potrebbe essere occupato dalle migliaia di disoccupati di nazionalità italiana.
Ma il discorso non è così semplice. In realtà i nostri disoccupati appartengono per lo più alla fascia dei diplomati, degli operai specializzati,perché oramai in Italia il 60% della popolazione giovanile frequenta la scuola sino al conseguimento di un diploma medio-superiore,e considera dequalificante per il prosieguo della propria carriera fare anche momentaneamente un lavoro manuale.
Inoltre, nessuno dei disoccupati italiani vuole eseguire più i lavori che fanno gli emigrati, che sono stati ormai rifiutati da tempo come lavori troppo umili e dequalificanti.
Perciò, mentre nel nostro paese-e non solo nel nostro -non c’è richiesta di mano d’opera nelle fabbriche e negli uffici,perché l’offerta della popolazione locale supera il numero dei posti di lavoro esistenti,il lavoro non qualificato, a disposizione degli emigrati, è insufficiente.
L’unica fascia di lavoro in cui l’offerta supera la domanda è quella del settore delle nuove tecnologie, per il quale diversi paesi soffrono della carenza di lavoratori altamente qualificati, per la cui creazione sono necessari lunghi anni di severi studi specialistici.
D’altro canto, gli emigrati spesso si fermano per un periodo di tempo non molto lungo nel paese ospitante, e ciò per diversi motivi.
Primo fra tutti,per l’Italia, la consapevolezza che la scuola italiana non insegna a parlare inglese, lingua che è un passaporto importantissimo qualora si voglia trovare lavoro in paesi europei o in America, dove gli emigrati contano di poter guadagnare di più. Lo sforzo che essi devono fare per imparare l’italiano non è produttivo, perché in nessun luogo tranne che in Italia si parla italiano. 
Restano quindi nel nostro paese sino a quando riescono a ricongiungersi con la famiglia, se ce l’hanno già, facendone venire i componenti in genere come turisti regolari, o tornano momentaneamente al loro paese per sposarsi e poi venire in Italia con il coniuge, e aspettano,per trasferirsi altrove, che gli eventuali figli siano in età scolare e possano partire per un altro paese.
Si può calcolare quindi che il loro soggiorno in Italia possa variare da 3 a 7 anni, mentre la meta finale è sempre un paese della zona mitteleuropea o di lingua inglese.
Un’altra motivazione della non definività del soggiorno nel paese ricevente è dovuta al fatto che gli emigrati,una volta trovato un lavoro sufficientemente remunerato, fanno delle rimesse al paese d’origine, accumulano risparmio e quando tornano a casa portano doni alla comunità familiare a testimonianza del loro successo lavorativo, e investono in attività produttive di cui hanno fatto esperienza all’estero, acquisendo un know-how, un metodo di lavoro, norme sociali di comportamento che contribuiscono a creare attività produttive sostenibili a lungo per un processo di sviluppo.
L’emigrazione comunque non produce danni solo nei paesi d’arrivo dei flussi migratori: molti paesi vedono aumentare il depauperamento delle loro risorse umane col moltiplicarsi delle partenze dei migranti.
Ad esempio,l’Africa sud-sahariana negli ultimi 20 anni ha perso il 30% dei lavoratori qualificati a causa dell’emigrazione.

Giacomo Balla

Seraluci,1929

 

 




POSSIBILI RIMEDI


E’ evidente che sarebbe necessario trovare delle soluzioni che, sebbene si sappia a priori che non potrebbero in alcun modo fermare definitivamente il flusso migratorio che è un fenomeno inarrestabile, soggetto attraverso il tempo a leggi mutevoli determinate da un numero sempre diverso di cause,potrebbero in qualche modo regolarizzarlo a livello internazionale creando quanto meno una piattaforma stabile di comportamenti omogenei tra tutti i paesi riceventi . 
Posto che gli emigranti non sono tutti motivati dalla stessa spinta- tra essi vi sono i rifugiati, i richiedenti asilo, gli immigrati clandestini, coloro che emigrano con regolare richiesta attraverso le vie ufficiali previste dalle convenzioni internazionali- sarebbe opportuno creare un organismo internazionale, magari collegato alle Nazioni Unite, che fosse preposto al disbrigo e alla soluzione di tutti i problemi inerenti alla questione.
Esiste già,per la verità, più di un organismo internazionale di tal fatta, come l’UNHCR o come l’Organizzazione mondiale delle migrazioni.
Ma uno studioso del MIT di Cambridge(Massach.,USA), J.Bhagwati ,in un’analisi del fenomeno migratorio(1998), propone la creazione di una World Migration Organization(WMO) che potrebbe risolvere più agevolmente i problemi inerenti alla questione,cominciando a compiere dei rilievi statistici sulla qualità/quantità dei migranti, la tipologia, la durata della permanenza in terra straniera, dati che al momento mancano del tutto o in gran parte, e, come si sa, in assenza di simili informazioni, non è possibile impostare, come afferma S. Zamagni,Presidente dell’ICMC,alcuna seria politica di interventi.
Tenuto conto che negli anni futuri la pressione migratoria è destinata ad aumentare- si muoverà l’Africa che ancora non è pronta ad affrontare in massa l’emigrazione che pure ha i suoi costi-sarebbe necessario un osservatorio permanente su cui gli stati riceventi potrebbero contare per moderare il flusso degli immigrati.
Poiché infatti è evidente che non è possibile bloccare l’immigrazione ufficiale senza incrementare quella clandestina,come suggerisce lo studioso D.Rodrik in un recente saggio (“Feasible Globalizations”,2002),si potrebbe tentare,per favorire il rientro periodico in patria dei lavoratori emigrati, di trattenere una parte del salario che verrebbe riconsegnata con gli interessi al momento della partenza, consentendo una turnazione di 3/5 anni, così da indurli a ritornare al paese di origine per consentire ad altri di emigrare.
Si dovrebbero a tal fine coinvolgere i governi dei paesi d’origine dei migranti, penalizzandoli qualora non facilitassero il ritorno in patria, il che per altro costituirebbe una ricchezza per le capacità lavorative acquisite dagli emigrati che potrebbero servire per creare una nuova realtà lavorativa.
Si potrebbero altresì creare complicità tra i datori di lavoro dei paesi riceventi e i lavoratori, aprendo mercati di esportazione nei paesi di provenienza.
Tali proposte sono allettanti ,ma nessun paese vuol essere il primo, tra quelli riceventi, ad approvarle, per timore di alterazioni del mercato internazionale del lavoro o di scontri politici internazionali. 
Diverso e forse più accettabile sarebbe se a farlo fosse la WMO,che si porrebbe come intermediaria dei paesi ricchi togliendoli dall’imbarazzo.
Come che sia, la questione chiaramente non può essere risolta in tempi brevi: ma bisogna pur dare inizio a un tentativo di creare strutture adatte a mettere d’accordo chi è proclive alla introduzione degli emigrati per favorire una parte del mondo del lavoro(liberalizzanti) e chi, invece,teme di compromettere (neoprotezionisti) la sostenibilità dei sistemi di welfare.
L’Italia, al momento, paga un alto prezzo,per sostenere un gravame che da sola non può a lungo sopportare, in attesa che l’ONU e la UE si accorgano che il problema riguarda ormai tutta la comunità mondiale.


Kate Catà.

 

lascia un commento

INDIETRO