una rosa d'oro
Commenti e critiche
Noi e la Globalizzazione Del fenomeno economico e sociale di cui vogliamo occuparci,della globalizzazione cioè,si fa oggi un gran parlare,così che la maggior parte della gente pensa che sia un fatto nuovo,di cui ci siamo accorti perché è scoppiato all’improvviso.Tanti infatti non saprebbero nemmeno che esiste se la protesta contro di esso non si fosse concretizzata nelle manifestazioni del “popolo di Seattle”,in tutte le città del mondo(Genova per l’Italia) dove , essendosi riuniti i rappresentanti o i capi degli Stati più industrializzati (tra cui c’è anche il nostro Paese),i così detti “anti- global” si sono radunati per protestare con metodi piuttosto violenti e con risultati disastrosi. Ma per comprendersi quando si parla bisogna anzitutto chiarire il significato dei termini che si usano e per non cadere in errore dobbiamo dire che il termine globalizzazione,sebbene sia usato oggi più frequentemente, esisteva già prima ,e prima ancora esisteva il concetto che esso esprime. Secondo il valore che alla parola in questione dà l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ( OCSE),la globalizzazione è “un processo mediante il quale i mercati e la produzione nei diversi Paesi diventano sempre più interdipendenti” a causa dei continui “scambi di beni e di servizi” e dei “movimenti di capitali e tecnologie”. Ciò ,per altro, si registrava anche prima del 1900.Persino Marx ed Engels nel Manifesto accennano ad un “mercato mondiale” che è conseguenza dell’affermarsi del capitalismo:d’altro canto dopo la Rivoluzione Industriale la produzione di massa era inevitabilmente in cerca di nuovi mercati, e l’incremento del commercio,favorito dall’evoluzione dei trasporti, nonché la circolazione del denaro mirata a realizzare investimenti nei paesi esteri avevano già sin dall’inizio del XX secolo contribuito a creare i presupposti di un’economia “globale” che subì un periodo di blocco solo tra il1914 e il 1950 in corrispondenza dei due conflitti mondiali,per evolversi poi negli anni ’80 quando il mondo finanziario andò incontro ad una internazionalizzazione sempre più vasta e più rapida. Il problema vero però sta non tanto in questo mutamento quanto nell’interpretazione che del fenomeno danno alcune tesi di economisti contemporanei,i quali sostengono che i paesi che sono meno forti dal punto di vista finanziario per competere con gli stati capitalisti ne invadono i mercati con una enorme produzione a basso costo sottraendo loro grosse fette di guadagno e costringendoli a diminuire i posti di lavoro. Anche i paesi ricchi,infatti, non potendo smaltire la loro produzione, sono costretti a ridurla e a liberarsi della mano d’opera in eccedenza mediante il licenziamento, incrementando così la disoccupazione. In tal modo le conseguenze ricadono sulle classi meno abbienti che sono indotte a protestare. LA
CULTURA E LA GLOBALIZZAZIONE Alla globalizzazione non si sottrae -ed è la cosa più grave –neanche la cultura nella sua accezione più vasta .Mediante i mass-media vengono diffusi e propagandati i principi cui si ispirano culture diverse e ciò per alcuni è stimolante, per altri allarmante. Chi si preoccupa del diffondersi di questo fenomeno sostiene che c’è il pericolo di una perdita della propria identità culturale per i popoli più civilizzati, che sentono meno i vincoli morali e religiosi del tempo passato e subiscono di più il fascino del benessere economico.Sentendo il bisogno di recuperare gli aspetti spirituali dell’esistenza, avvertendo il vuoto che si è formato interiormente per l’abbandono di ideali ormai privi di significato che non sono mai stati rinnovati e sostituiti ,essi si rivolgono a concetti nuovi e a modelli culturali non sperimentati nella speranza di trovare soluzione ai loro problemi. D’altro canto anche i popoli che esportano la loro visione della vita e i loro valori esistenziali, sinchè restano legati fisicamente o spiritualmente al luogo di origine, si mantengono saldi nelle loro tradizioni, ma se (come accade per i paesi poveri da cui esce costantemente un flusso migratorio)si spostano in un paese straniero, importano le loro idee comunicandole al popolo che li ospita ma le perdono dopo un certo tempo perché acquisiscono i modi di vita del luogo che li ha accolti. A ciò si aggiunga che tra gli aspetti della cultura si è accentuato maggiormente quello economico,o, per meglio dire, l’aspetto che si identifica con beni che possono essere oggetto di commercio, come musica, libri, film,opere d’arte, turismo. A fronte della diffusione della conoscenza, fatto di per sé altamente positivo, ciò può comportare uno scarso rispetto per usanze, tradizioni, morale ,religione dei diversi popoli. La comunicazione è responsabile di questa diffusione selvaggia dell’informazione:non ci si chiede che impatto possa avere su un popolo che vive in un paese arretrato ed isolato dal resto della comunità umana la ricezione di certi programmi televisivi che, per esempio, mostrino immagini violente o pratiche sessuali non considerate usuali dagli spettatori. L’aspetto
quindi più drammatico della globalizzazione è e resta l’omogeneizzazione
culturale. Chi per converso è favorevole alla globalizzazione considera un fatto ineluttabile che la maggior parte delle nazioni sia ormai multietnica. Non ci sono ancora indagini le quali denuncino che individui o gruppi di individui stiano diventando simili e c’è chi sostiene che malgrado le informazioni culturali si diffondano ugualmente in tutto il mondo, chi le recepisce lo fa in maniera singolarmente differente. Gli USA sono stati forse il primo paese dell’età moderna a conoscere il multiculturalismo del melting pot . Nel passato un altro esempio di culture differenti facenti parte di un unico organismo politico fu l’Impero Romano e,più di recente,l’Impero Austro-ungarico e quello Germanico.Anche la Gran Bretagna ha visto affluire nel suo interno rappresentanti di varia provenienza a causa del mosaico multirazziale delle colonie possedute e del Commonwealth. Non hanno per questo, né i Romani, né gli Americani o gli Inglesi e i Tedeschi, cambiato tutti religione o modo di vivere. Ma qualcosa da obiettare a questa tesi ci sarebbe. Si potrebbe anzitutto rilevare che la diffusione delle idee era molto più lenta non essendoci i mezzi di comunicazione odierni. Ciò consentiva la possibilità di riflettere su quel che di nuovo e diverso si recepiva, di analizzarlo criticamente e di decidere se accettare o no le idee e i comportamenti di altri individui o gruppi di essi.Sebbene i popoli del passato non fossero coscienti dell’attuarsi di un simile processo, anche a causa della scarsa diffusione della cultura, pure ciò accadeva,specialmente là dove c’era la libertà e non si viveva in un regime coattivo. Solo in caso di guerre di conquista, infatti, interi popoli cambiarono comportamenti e religioni, come avvenne per gli Arabi che si diffusero nel bacino del Mediterraneo nell’VIII secolo o per gli Spagnoli quando conquistarono nel XVI secolo le popolazioni precolombiane. Il secondo argomento è più radicale: si potrebbe dimostrare che tutti gli stati che nel tempo hanno subito una massiccia iniezione di elementi provenienti da altri paesi si sono alla fine disgregati o hanno mostrato-e mostrano –segni di disgregazione o di decadenza. Gli USA oggi, a distanza di secoli dalla loro formazione ,evidenziano un diffuso agnosticismo, frutto di una mancata pratica religiosa (persino gli ebrei americani non osservano più le regole che viggono ancora rigidamente nella comunità di origine) e grosse carenze sul piano etico e culturale in genere.Se e quando vogliono recuperare delle certezze,si rivolgono ancora all’Europa occidentale,culla dei loro antenati, con delle radici storiche solide e documentate. Gli imperi germanici si sono sfaldati, quel che ne resta lotta disperatamente in presenza di fenomeni di intolleranza razziale. Il colonialismo britannico si è ufficialmente concluso, e ciò forse salverà l’Inghilterra. La diffusione odierna di altre culture è autonoma e dilagante,molto più rapida che nel passato.Il rischio della globalizzazione è il rifiuto e l’intolleranza. Se questo rimescolamento di popoli e di capitali lascerà un segno, lo potranno dire solo le generazioni future. Noi possiamo soltanto essere consapevoli che vi sono ancora troppi interrogativi senza risposte. (Kat.)
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