una rosa d'oro 

 

         

 

 

UNA  COLLEZIONE

DI  ANTICHI  GIOIELLI 

INGLESI

 

 

 -1-   San Giorgio a cavallo lotta contro il Dragone

1520 - Medaglione da cappello in oro, smalti, perle.

 

 

GIOIELLI PRIVATI DELLE REGINE D’INGHILTERRA

 

I preziosi gioielli della Corona, come ben si sa, in tutti i Paesi non sono quelli che una donna -sia pure una Regina- può indossare comunemente, nel privato o in certe occasioni pubbliche ma di medio impegno.

Le Regine inglesi, perciò, come quelle russe, francesi, spagnole o italiane,

amavano acquisire per la loro vita quotidiana gioielli e oggetti preziosi di cui si ornavano e che avevano scelto per gusto personale.

La collezione di cui parleremo appartiene oggi ad Elisabetta d’Inghilterra, ma non si tratta di oggetti scelti da lei medesima, bensì di preziosi pervenutile in eredità, che probabilmente la Regina non indossa affatto, anzi, di cui è possibile che non ricordi nel dettaglio le caratteristiche, il numero, la storia.

Ci sono funzionari che li tengono in ordine, li catalogano, li puliscono, ne annotano le peculiarità con scrupolo, ma di rado la gente comune ha la possibilità di vedere  -e ammirare- queste raffinate creazioni realizzate da orafi e gioiellieri inglesi e stranieri, giunte attraverso vie tortuose  e secoli lontani all’attuale proprietaria, che poi, nell’epoca in cui vive, ha  effettuato, a sua volta, moltissimi acquisti e ricevuto in dono una quantità innumerevole di gioielli di ogni tipo.

Tuttavia questi oggetti, di cui ci occuperemo e che abbiamo scelto in pochi tra i tanti esistenti nella collezione, testimoniano del gusto del tempo passato, e della instancabile creatività di cui non cessiamo di  restare ammirati quando, dagli albori della presenza dell’uomo sulla terra ai nostri giorni, consideriamo le possibili forme che l’oro ha assunto tra le mani di chi lo ha saputo plasmare.

 

-2- Pendente con un busto femminile in oro martellato, corniola e ametista - 1550/60

 

 

MEDAGLIONI, SPILLE, CROCI E PENDENTI

 

Il primo oggetto (n.1) che fa parte di questa collezione è forse il più antico: un medaglione che si portava sul cappello, per uomo, un segno distintivo per un signore di qualità, che ne indicava la classe sociale e la ricchezza.

Si tratta di una immagine in altorilievo di S.Giorgio a cavallo in atto di trafiggere il Drago, ossia il maligno.

Il Santo,che indossa una veste di smalto blu e verde, regge una spada, con l’elsa costituita da una perla, con cui dall’alto sta per colpire la testa del mitico avversario.

Il Drago è ricoperto di smalto blu, le zampe e gli artigli di smalto giallo, mentre è rossa la gualdrappa del cavallo, punteggiata d’oro.

Intorno a questo medaglione esiste un problema di identificazione. Si sa che S.Giorgio veniva raffigurato come un giovane cavaliere del tutto imberbe, mentre in questa immagine si vede con una folta barba e per di più con capelli ricci e pieni di boccoli, come era rappresentato Federico Barbarossa (1152/1190).

Inoltre ci sono buoni motivi per ritenere che, molto presumibilmente,  per la perfezione del lavoro, esso dovrebbe essere stato creato nella parte meridionale dei Paesi Bassi (Burgundia), che eccelleva per la realizzazione di gioielli in oro e smalto.

Un discendente del Barbarossa, Massimiliano I d’Asburgo, aveva sposato la principessa Maria di Burgundia, e poi era divenuto Imperatore del Sacro Romano Impero.

E’ possibile che questo medaglione fosse destinato a lui o a commemorarlo dopo la sua morte.

 

 

UN “COMMESSO” SINGOLARE

E’ invece un pendente con un busto femminile di singolare esecuzione l’oggetto successivo (n.2): indicato nell’elenco in lingua inglese come una sorta di “commesso”, cioè di oggetto costituito di parti di differente materiale messo insieme per formare un disegno.

 

Tale era per lo meno il significato del termine, adoperato solitamente per indicare una tecnica lavorativa del marmo, di origine toscana -e perciò italiana- donde la citazione della parola nella lingua originale.

Il volto della donna, visto di profilo, è disegnato su una corniola beige-rosata, il mantello è di ametista, ed è fermato sulla spalla di lei con una spilla. I capelli, sciolti sulle spalle, spuntano da un turbante con piume variopinte fissate da una fascia in oro ornata da un rubino, due granati e uno smeraldo.

Lo sfondo del pendente è di oro giallo martellato, un sottile cordoncino dello stesso metallo corre lungo i bordi e termina in un occhiello che serve a reggerlo e che ha la forma di un fiore di giglio.

Il precedente particolare potrebbe sottolineare il fatto che la lavorazione di “commessi” di questo tipo era dovuta a dei laboratori specializzati della corte di Enrico II in Francia.

Quanto al periodo in cui l ’oggetto entrò a far parte della Collezione reale, pare appartenesse alla Regina Carolina, moglie di Giorgio II.

 

 

UN GIOIELLO COMMEMORATIVO

 

-3- Pendente  a forma di cuore  in oro, pietre e smalti policromi.

Detto “The Darnley or Lennox  Jewel” - 1571/8

 

Questo pendente, che esalta le virtù della Fede, della Speranza, della Vittoria e della Verità, reca uno zaffiro dall’intenso colore blu, rubini e smalti, e un’iscrizione tutt’intorno, su un bordo di smalto bianco,”chi spera sempre costantemente con pazienza, ottiene la vittoria per ciò che rivendica”.

Si sa che questo gioiello, già famoso da diversi secoli, fu commissionato da Lady Margareth Douglas, Contessa di Lennox, consorte di Matthew Stewart Conte di Lennox e Reggente di Scozia (1515/1571).

Esso, negli elementi che lo compongono, figure e iscrizioni, mostra continui e ormai scarsamente comprensibili riferimenti alla storia dei due personaggi storici e alle loro vicende personali.

Il gioiello, appartenuto ad altre collezioni, fu acquistato dalla Regina Vittoria per sé nel 1842, e alla sua morte destinato alla collezione di famiglia della Regina stessa.

 

 

LA VIE ET LA MORT”

 

-4- Pendente con un serpente che si avvolge intorno ad un albero

e due cammei in forma di teschio - fine del 1600 - Londra.

 

Questo pendente dalla lunga storia pare fosse appartenuto alla Regina Maria di Scozia, e poi pervenuto per eredità  successive a Miss W. Stirling, che ne fece dono nel 1977 alla Regina Elisabetta II.

Si è scelto di presentare, tra i tanti oggetti appartenenti a questa collezione, quello di cui si parla perché testimonia della tendenza, costante nel tempo, di associare il teschio, simbolo di morte e di caducità della vita, con i gioielli, tendenza che riaffiora ai nostri giorni e che si manifesta non solo nella gioielleria ma anche nella bijouterie.

L’oggetto ha una parte anteriore, dove sono incastonati rubini, opali, diamanti e perle, mentre nella metà inferiore, al centro, si trova uno smeraldo, evidentemente tagliato per altro oggetto e qui sistemato con l’aggiunta laterale di un’altra pietra più piccola dello stesso tipo.

 

Forse il pendente ha subito delle trasformazioni. Nella parte posteriore, un’iscrizione su smalto bianco recita in francese “La vie et la mort”.

L’iscrizione e i due teschi fanno pensare che il gioiello fosse una sorta di “memento mori”, il che oggi appare come una contraddizione in termini, ma per il tempo in cui fu realizzato era un fatto del tutto normale.

Ostentare un oggetto prezioso, del resto, era appannaggio non solo dei laici, ma anche dei religiosi, e il riferimento alla morte era quasi d’obbligo anche per i potenti, come a voler ricordare che essa era uguale per tutti.

 

 

UNA DéMI-PARURE  DALLA LUNGA E NOBILE VITA

 

-5- Collana ed orecchini (démi-parure, manca una spilla)

Fine del XVI sec. con aggiunte del XVII e XIX sec.

 

Di manifattura inglese, questa collana con gli orecchini in parure appartenne a Mary Seton, e passò per eredità via via sino a Lilias  Contessa di Bathurst che nel 1935 ne fece dono alla Regina Mary d’Inghilterra in occasione del XXV anniversario di regno.

La collana è costituita da una struttura in oro ornata di smalti rossi, verdi, grigi, blu, e da perle,rubini e smeraldi.

Lungo la catena si alternano sei elementi a forma di S (serpenti) -in smalto verde ornati di perle,fiancheggiati da rosette in filigrana recanti piccoli rubini- con quattro rosette di fili d’oro arrotolato. Il medaglione centrale è un elegante lavoro in oro, smalti, perle e smeraldi, fiancheggiato da due croci ornate di smalto e perle.

Gli orecchini vennero fatti posteriormente (XIX sec.?), in armonia con la catena, e ripetono i motivi dei serpenti in smalto ornati di perle rubini e smeraldi.

 

 

UN  OGGETTO MOLTO COMPLESSO

 

Pare che, dopo attento esame degli esperti curatori della collezione, siano apparsi evidenti i cambiamenti e le sovrapposizioni dei vari elementi della collana, di cui la parte più antica sembra fosse una semplice catena d’oro del XVI secolo, a cui vennero aggiunte posteriormente altre parti (1630).

Esse furono, nell’ordine, gli elementi con i serpenti e le rosette laterali a forma di croce,mentre l’elemento centrale sembra aggiunto ancora dopo.

 

L’altra questione critica relativa alla collana è l’identità di Mary Seton, la prima proprietaria della parure: essa era un’abile parrucchiera, che si occupava di acconciare le pettinature della Regina di Scozia Mary, la quale ne apprezzava la bravura e la devozione. La parure fu dunque regalata a Mary Seton dalla Regina Mary, che essa seguì nella Torre di Londra quando fu inquisita e poi condannata a morte, divenendone amica e confidente.

I discendenti di Mary Seton furono poi fatti Conti di Eglinton, e si tramandarono la collana, che pare fosse molto più lunga all’origine, ma priva del pezzo centrale.

 

Più di uno dei Conti di Eglinton fece modificare la catena, togliendo molti elementi a forma di serpente, e nel 1839 essa assunse l’attuale forma in occasione di un Torneo che celebrava il 13° Conte della famiglia.

La collana fu poi venduta insieme a tutti i gioielli della Famiglia dalle figlie del Conte, Egidia, Sybil e Hindia, nel 1894 da Christie in un’asta. Pervenuta nelle mani della Contessa Bathurst, fu  da lei donata, come si è sopra detto, alla Regina Mary moglie di Giorgio V.

 

 

UNA   CROCE  DI  SMERALDI

 

-6- Croce di smeraldi - fine del XVI sec.

con aggiunte successive.

 

Acquistata dalla Regina Mary prima del 1920, questa Croce con smeraldi di vario taglio incastonati in oro  ha, come molti oggetti della Collezione, un dritto e un rovescio.

Per quanto riguarda il dritto, lungo i lati dell’oggetto corre un fregio in smalto nero dai contorni stilizzati.

La Croce è inserita in una struttura ricoperta di smalto bianco con punti di smalto blu e verde, quattro rosette d’oro coperte di smalto trasparente si trovano alle estremità dei quattro bracci della Croce.

Pure di smalto bianco è ricoperto l’anello di sospensione.

La Croce ospita tre perle ovali pendenti.

 

 

LA  PARTE  POSTERIORE  DELLA  CROCE

 

Il retro dell’oggetto è in oro patinato con bordi arrotondati, ricoperto di foglie in smalto verde e rosette rosse. Verso la parte inferiore si trovano le immagini di due leoni araldici rampanti.

Lungo il bordo sinistro esterno si notano i resti aurei di una cerniera,il che fa pensare che l’oggetto sia stato riadattato, cosa non infrequente nel passato, e che fosse prima un reliquiario cui in seguito fu asportata la parte che doveva contenere la reliquia.

Nel complesso, la croce appare come la fusione di tre elementi assemblati in età diverse.

La decorazione ornamentale, sia del retto che del rovescio con gli smalti, risalgono al XVI secolo, ma la struttura attuale, con gli ornamenti simmetrici, le rosette e i leoni è tipica dei primi anni del XX secolo.

Similmente la presenza degli smeraldi, forse riusati anch’essi, incastonati  secondo l’usanza rinascimentale,fa pensare che sia dovuta ad una certa tendenza dell’Art Nouveau, in cui si tornò alle immagini e alle forme del Rinascimento.

Pur con tutte queste contraddizioni, la Croce ha una sua intrinseca bellezza e dignità, che la rendono degna di attenzione.

 

 

UN  OGGETTO  STRANO  ED INQUIETANTE

 

A volte la Natura produce oggetti molto strani, che turbano chi li scopre a distanza di secoli dalla loro formazione.

L’agata, una pietra dura di uso molto frequente nell’antichità, è spesso rinvenibile in natura in unica associazione con la corniola, e con essa, spesso, assume la dicitura impropria di agata corniola.

Poiché presenta un aspetto stratificato con alternanze di strati più chiari e più scuri, si presta a diverse lavorazioni.

 

Appare, quando è in unione con la corniola, simile ad un occhio, e fu molto usata nell’antichità per creare cammei e sigilli.

Come tutte le pietre preziose e semi-preziose, l’agata era ritenuta dotata di proprietà apotropaiche, era perciò adoperata come amuleto per tenere lontano il “malocchio”, e inoltre si riteneva che proteggesse dalle malattie degli occhi.

Raramente, come nel caso di cui parleremo, la natura fa degli scherzi, e presenta pietre del genere raddoppiando l’immagine oculare, così da far sembrare  l’oggetto che se ne ricava come una mostruosità, o lasciando immaginare  che gli occhi che si vedono siano due, simili, molto vicini, somiglianti agli occhi degli insetti.

Questo oggetto, di probabile manifattura tedesca, lo abbiamo scelto a causa della sua straordinarietà e della sua insolita forma, capace di stupire chi la vede.

 

-7- “Double Eye agate pendant”- XVII sec.

Agata dal doppio occhio-Amuleto.

 

 

QUALCHE NOTIZIA  STORICA

 

Il doppio cabochon ovale di agata-corniola, che  nei registri della Collezione di S.M.Elisabetta II è iscritto come “Double Eye agate pendant”, è inserito in una montatura d’oro ricoperta di smalto color blu chiaro e scuro, puntellato di macchie bianche, con un anello di sospensione in cui è infilato un anello più grande.

Nella parte inferiore dell’oggetto è presente un altro anello ricavato dal bordo stesso del pendente che ha anche un rovescio, il cui corpo centrale è ricoperto d’oro ornato con smalti blu chiaro e blu scuro, verdi e rossi.

Gli smalti sono gravemente danneggiati e parzialmente corrosi, perché l’oggetto rimase a lungo seppellito nella terra, e non è dato sapere per quanto tempo vi sia rimasto. Le piccole macchie bianche del retto, infatti, sono concrezioni di carbonato di calcio, dovute al contatto degli smalti con l’umidità della terra.

Tuttavia questa pietra tanto singolare non è quella che era stata posta originariamente nell’oggetto. Pare che un successivo proprietario dell’oggetto originale o colui che lo ritrovò nella terra, abbia sostituito la pietra forse mancante o molto danneggiata dal seppellimento con quest’agata particolare.

Ciò appare evidente per il fatto che in più punti la struttura aurea non aderisce perfettamente all’agata.

Gli anelli di sospensione sembrano aggiunti molto tempo dopo, forse per consentire di portare l’oggetto intorno al collo, mentre l’anello della parte inferiore poteva reggere forse una perla o essere utile ad assicurare l’oggetto ad un vestito.

 

-8- Stuart Coronation Ring-Anello per l’incoronazione degli Stuart

1660 - con aggiunte posteriori.

 

 

L’ANELLO PER L’INCORONAZIONE DEGLI STUART 

 

Appartenuto probabilmente a Carlo I, l’anello con rubino (n°8) di cui ci occuperemo passò in eredità a Carlo II e da costui a Giacomo II e a Mary di Modena sua moglie, restando sempre proprietà degli Stuart. Poi, per diritto di discendenza, toccò al Principe Enrico Benedetto Stuart, Cardinale di York. Da costui, per testamento, fu lasciato a Giorgio, Principe di Galles, che nel 1807 sarebbe divenuto Giorgio IV. Esso fu descritto nel testamento del Cardinale come “un anello di rubino circondato di diamanti... sul rubino è incisa una croce. Esso va usato il giorno dell’Incoronazione dai Re di Scozia”.

E in effetti quest’anello era stato usato da Giacomo II a Giacomo VII, nonno del Cardinale, nel giorno dell’Incoronazione nella Cattedrale di Westminster, il 23 aprile 1685.

In un resoconto della cerimonia l’anello è descritto come “un semplice anello d’oro con un grande rubino violetto, in cui è stata incisa una croce, o Croce di S. Giorgio”.

Benché l’anello fosse stato incluso in un elenco stilato dal Mastro della casa dei Gioielli datato 19 marzo 1685 per essere usato in occasione dell’Incoronazione, esso è stranamente assente dai resoconti dell’Incoronazione stessa.

Ciò è dovuto forse al fatto che gli anelli dell’Incoronazione sono considerati proprietà personale del Sovrano e acquistati privatamente.

E’ anche possibile che Giacomo II abbia usato l’anello di Carlo II diverso da questo di cui parliamo.

L’anello seguì Giacomo II durante l’esilio, e alla sua morte passò nelle mani della vedova, Mary di Modena.

Dopo la morte di lei, nel 1718, l’anello risultò in possesso degli eredi Stuart, finché fu lasciato, come si è detto, dal Cardinale di York in eredità al Principe di Galles nel 1807.

 

 

CARATTERISTICHE  DEL RUBINO

 

Il rubino con la croce è una pietra piatta, con poche sfaccettature marginali, che potrebbe essere la metà di una pietra medievale tagliata e lucidata per rimuovere altri segni di incisione.

Del resto, si è più volte parlato del criterio del riuso adottato nel passato, e non c’è  da stupirsi dell’utilizzazione di una pietra, sebbene essa sia molto torbida, per nulla splendente, piena di impurità. Ma il concetto di bellezza  applicato ad una pietra preziosa non rispondeva molti secoli or sono ai criteri odierni.

La croce incisa è probabilmente del XVII secolo, la bordura di diamanti è un’aggiunta posteriore, riferita per la prima volta dal testamento del Cardinale di York.

Il tipo di montatura in cui sono alloggiati i diamanti era in uso nel 1780.

Lo stile e la forma dell’anello fa ritenere infine che esso sia stato rimodellato dal Principe Reggente nel XIX secolo.

L’ultima nota storica a nostra conoscenza  relativa all’anello dice che nel  1830 Guglielmo IV offrì l’anello in prestito per essere mostrato in una esibizione delle onorificenze della Scozia nel Castello di Edimburgo.

 

 

UN ’INTERA PARURE DI  CAMMEI

 

-9- Orecchini pendenti con cammei e rubini. - XVII secolo

 

Agli inizi del XIX secolo, e sicuramente sino al 1816, in occasione del matrimonio della Principessa Carlotta col Principe ereditario, in Inghilterra ancora si portavano gioielli con ametiste, crisoliti  e topazi.

Ma in Francia, nello stesso periodo, per prima l’Imperatrice Giuseppina, consorte di Napoleone, e le dame del suo seguito, abbracciarono la moda della gioielleria ispirata alla Grecia e ai suoi miti, la riproduzione dei cammei simile alla produzione antica e a quella del  Classicismo Rinascimentale.

Subito si diffuse la predilezione per questo tipo di gioielleria che incrementò la riproduzione di copie di gemme e cammei incisi  che venivano presentati in “parures”, ovvero in una quantità di oggetti, come collane,orecchini, bracciali, una o più spille, pendenti, corone, tutti dello stesso stile e ornati dello stesso tipo di pietre,che potevano essere indossate in vario modo, accoppiando di volta in volta pezzi diversi di preziosi dello stesso tipo, guarniti con pietre dure incise a cammeo.

Dal 1850 i gioiellieri Castellani e Giuliano di Roma risvegliarono l’interesse della gioielleria per l’Archeologia, in corrispondenza ai ritrovamenti che si facevano in quel periodo negli scavi romani.

Divenne di moda possedere oggetti preziosi con cammei,tratti per lo più da pietre dure, come l’agata, la corniola, l’onice, e, tra gli altri materiali di cui abitualmente si serviva la produzione degli oggetti preziosi, il corallo, con cui si realizzavano splendidi cammei ispirati ai personaggi o ai miti 

 

 

-10- Spilla con cammeo circondata da rubini - XVII sec.

 

dell’antica Grecia. La principessa Carlotta, divenuta Regina, volle anch’essa possedere una parure di cammei, e ne acquisì una di alcuni pezzi, tra cui una collana con cinque cammei grandi e otto piccoli.

Molto più tardi, la Regina Mary, nel 1932, durante un viaggio di piacere fatto in Italia, volle acquistare a Roma questa che qui presentiamo, costituita da un paio di orecchini, due spille, un bracciale ed una collana in cammei circondati di rubini e guarniti, in alcune parti da brillanti taglio diamante. La parure è molto antica, risale infatti agli inizi del XVII secolo, ed è di manifattura italiana.

Gli orecchini (n°9) sono costituiti da due cammei ovali in onice grigio e bianco translucido, circondati da rubini e pendenti, mediante due brevi catene ciascuno, da bottoni costituiti da un brillante taglio diamante circondato di rubini.

Le immagini incise sulle pietre dure mostrano scene pastorali, con due personaggi -probabilmente un maschio e una femmina- nell’atto di tosare le pecore.

La spilla successiva (n°10) appare posteriore, come fattura, al resto della parure: probabilmente fu realizzata per arricchirla e consentirne l’intercambiabilita’.

Costituita da un’onice grigia, come gli altri oggetti qui esaminati,e circondata di rubini, ha un gancio ornato da un rubino che può farla usare anche come pendente.

 

-11-Spilla o pendente  con 13 cammei di varia grandezza.

XVII secolo-

 

Un’altra spilla appartiene allo stesso gruppo di oggetti, molto più complessa (n°11): su una struttura a forma di croce si dispongono cinque cammei intorno ai quali si raggruppano a grappolo altri otto cammei di varia misura (in totale 13 cammei).

L’esecuzione del lavoro appare molto meno precisa degli altri pezzi della parure, al punto da far dubitare che sia  stata fatta dalla stessa mano.

Le figure sono appena accennate, mal definite, certo perché i cammei sono piuttosto piccoli, ma anche perché il materiale non è il migliore per realizzare dei cammei.

Non è facile dedurre da tutte le immagini a quale mito si riferiscano: le interpretazioni sono in molti casi dubbie, e fanno ritenere che si tratti di artigiani ai quali non fosse stata proposta l’illustrazione di un ben individuato mito o di ben precisi personaggi tratti da narrazioni di fatti storici o mutuati dalla poesia.

 

-12- Bracciale a due fili con 17 cammei di varia grandezza

XVII sec. - Manifattura italiana

 

Il bracciale in parure con gli oggetti sin qui mostrati (n°12) illustra invece la storia di Orazio Coclite, che difende Roma dagli Etruschi.

Il monile è costituito da due file di cammei di varia grandezza, ma tutti piuttosto piccoli, tranne quello che costituisce l’elemento centrale e anche la chiusura:in esso è rappresentato l’eroe romano mentre su un ponte uccide uno dei soldati del Re Porsenna, e si avvia ad affrontare gli altri che stanno per travolgerlo. Dietro di lui, i Romani, nel timore che gli Etruschi possano attraversarlo e giungere a Roma, stanno distruggendo il ponte, lasciando così che Orazio Coclite si immoli per la Patria.

Gli altri piccoli cammei ospitano scene appena  accennate, dove si ritiene di riconoscere di volta in volta Dioniso, Venere, Cupido, Arianna ed altri.

 

L’ultimo pezzo della parure -ma non certo per importanza- è la collana (n°13), intorno a cui ruota tutto il gruppo dei cinque oggetti preziosi.

Essa è costituita da 16 cammei, di cui il più grande è quello centrale, che illustra la nascita di Venere. La Dea sorge dalle acque, su un delfino. Accanto le stanno due putti, ad uno dei quali manca la testa. Forse essa era stata incollata durante la lavorazione, ma non ha resistito nel tempo.

Nei rimanenti cammei, come al solito, c’è un accenno ad altri miti: Ercole lotta contro un Gigante (forse Caco), Ippodamia è rapita da un Centauro ubriaco, e viene liberata da Ercole che uccide il centauro. Diana caccia in un bosco con i cani.

Ma nel bel mezzo di un mondo pagano, spunta una scena biblica: il sacrificio di Isacco.

Lascia per lo meno sorpresi questa commistione di immagini, e rende perplessi circa l’ignoranza del tempo, che mescola con indifferenza il sacro e il profano pur di realizzare delle immagini scolpite nella pietra.

 

-13- Collana con 16 cammei di varia forma e grandezza

XVII secolo - Manifattura italiana

 

 

GIOIELLI FIRMATI

 

Verso la metà del XIX secolo la gioielleria incominciò ad essere non più un lavoro artigianale ma una vera forma di arte minore.

Non che per il passato non vi fossero stati artisti celebri che avessero firmato oggetti preziosi  per committenti famosi o potenti: basta pensare ai gioiellieri fiamminghi del XVI e XVII secolo, o ai fornitori dell’Impero Austriaco e Francese, per non parlare del Rinascimento in cui anche scultori come il Cellini si cimentarono nel realizzare oggetti splendidi con l’oro o l’argento.

A Roma, come già si è detto, Castellani aveva incrementato l’arte della glittica, resuscitando l’interesse per i cammei, ma non solamente: riprendendo modelli rinascimentali, aveva creato pendenti e monili per illeggiadrire le vesti femminili.

E’ suo questo bel pendente (n°14) dove si fondono  reminiscenze rinascimentali e suggestioni orientaleggianti. L’oggetto, in oro e smalti, ospita uno smeraldo colombiano, piccolo ma di bel colore, un rubino centrale, e, in fondo, uno smeraldo indiano a goccia.

 

-14- Castellani-Pendente con rubino, smeraldo colombiano,

goccia di smeraldo indiano. - 1860

 

Sul rovescio la superficie dell’oggetto è smaltata in bianco, con foglie di acanto, e si nota una doppia C maiuscola, che è il marchio di fabbrica di Castellani.

La firma di Castellani cominciò ad apparire dal 1814, e fu mantenuta in vita dai suoi eredi sino al 1927.

 

 

UNO SMERALDO DI INCERTA PROVENIENZA

 

Parlando di  questo pendente non si suole risalire al di là della sua certa appartenenza  a Federico, duca di York,negli anni 1860/70, di cui si hanno due o tre documenti, in cui si dice anche che l’oggetto fu poi donato da lui a John Bridge, e rimasto in possesso dei suoi discendenti, sino a quando esso non fu venduto dalla sua famiglia ai gioiellieri Frank e Rutley nel 1916, e nello stesso anno acquistato dalla Regina Mary.

L’oggetto, però, è costituito da parti di differente fattura.

Infatti si tratta di uno smeraldo a tavola di forma esagonale,montato “a notte” in un castone d’oro, e sostenuto da una struttura ad anello lavorato a “champlevé” in smalto bianco,nero, blu,verde e rosso alternato a cartigli contenenti 6 diamanti di taglio carré.

 

 

  -15- Pendente di smeraldo - XVI(?) secolo,

 con aggiunte posteriori-

 

Sormontato da un grosso anello di sospensione decorato con smalto a righe rosse e blu,è sorretto da altri due piccoli anelli in smalto rosso, puramente ornamentali.

Nella parte inferiore reca un anello dello stesso tipo a cui è sospesa una struttura a forma di rombo che ospita quattro diamanti di taglio carré.

 

Nella parte posteriore, la cassa d’oro dell’oggetto reca la dicitura: “Elisabeth R.”

Dalla considerazione di queste caratteristiche particolari nascono alcuni interrogativi: l’oggetto è stato acquisito nella Collezione della Regina Elisabetta II nel 1916, ma è probabile che si trattasse della semplice pietra, montata “a notte”, e che la struttura che la sorregge sia posteriore al 1916.

Se è così, potrebbe essere vera l’ipotesi che la pietra fosse proprietà di Elisabetta I, che l’oggetto fosse una sorta di reliquiario e che nella cassa trovassero posto, come pare, dei capelli.

Tuttavia tale appartenenza non è documentata e rimane in vita la sola ipotesi, non suffragata da prove.

Comunque sia, il pendente è estremamente suggestivo e la lavorazione degli smalti è particolarmente delicata e ben realizzata, l’oggetto è ben conservato e mantiene un fascino particolare che lo rende uno fra i più bei pezzi della Collezione.

 

 

UNO STRANO ANELLO

 

-16- Anello d’oro giallo con opale circondato di perle - 1810

 

Come tutti gli opali,anche questo, sebbene sia piuttosto piccolo,ha un suo misterioso fascino.

Montato in oro giallo e circondato di perle, abbinamento alquanto inconsueto, l’opale era per certo di proprietà della Regina Carlotta, moglie di Giorgio III d’Inghilterra.

Essa lo portò sino alla fine della sua vita (1818) e poi l’anello passò nella collezione della sorella Principessa Sofia, e da questa in quella dell’altra sorella Principessa Mary, Duchessa di Gloucester, che nel 1849 ne fece dono alla Regina Vittoria.

Non diversamente accadde per il successivo anello (n°17), che apparteneva anch’esso alla Regina Charlotte e da lei passò alle sorelle Sofia e Mary.

Come l’altro anello, anche questo fu donato dalla Principessa Mary alla Regina Vittoria ed entrò a far parte della collezione reale.

 

L’anello è in oro giallo, ed ospita un diamante di taglio brillante di 2,03 Kt.

E’ rimarcabile il fatto che la pietra sia stata tagliata a brillante, taglio che si era diffuso da poco all’inizio del 1800, e che costituiva una novità dispendiosa appetibile soprattutto per le persone facoltose.

 

-17-Anello d’oro con diamante di taglio brillante-1810

 

 

UNA COLLANA ...ETNICA

 

Detta “Timur Ruby”, ossia “Collana di rubini di Timur (Tamberlano)”, questa originale collana fu acquisita nella Collezione nel 1853.

Alla conclusione dell’Esposizione Universale del 1850, nell’ottobre del 1851 i Direttori della East India Company presentarono alla Regina Vittoria una selezione degli oggetti esibiti nel Padiglione Indiano.

Fra gli oggetti presentati a Sua Maestà la Regina c’era una collezione di gioielli tratti dal Tesoro di Lahore,al tempo dell’annessione del Punjab (1849)  in qualità di colonia da parte della Gran Bretagna.

La Regina si dimostrò particolarmente ammirata dei rubini  che ne facevano parte, e annotò la cosa nel suo diario: ”...sono delle pietre cabochon, non sfaccettate,ma bucate. La prima è la più grande del mondo e pertanto più notevole del Koh-i-noor...”.

Certi dunque di farle cosa gradita, i Direttori della East Indian Company gliene fecero dono.

Nell’aprile del 1853 il gioielliere Garrands collocò quattro dei così detti rubini in una nuova collana ornata di smalti e diamanti “di disegno orientale”, con quattro diamanti pendenti provenienti anch’essi da Lahore.

Al centro pose la pietra da 352 carati che la regina Vittoria aveva particolarmente notato.

Due mesi dopo però Garrands modificò la collana per consentire che la pietra potesse essere staccata dalla collana per usarla come spilla o per essere alternata con il diamante Ko-i-noor, di recente donato alla Sovrana.

 

-18- “Timur  Ruby”- Collana con quattro spinelli e brillanti - 1850

 

 

UN  GROSSO EQUIVOCO

 

Come il così detto “Rubino del Principe Nero” della Corona Imperiale di Stato, i quattro rubini di questa collana sono in realtà degli spinelli, pietre preziose di minor valore rispetto ai rubini a cui assomigliano ma dai quali si distinguono per la loro natura gemmologica.

Le grosse pietre grezze furono estratte nelle miniere della regione del Badakhshan (odierno Afghanistan e Uzbekistan).

La spettacolare pietra centrale reca incisa da un lato una iscrizione in lingua persiana che ricorda la sua illustre provenienza: infatti essa è appartenuta agli Imperatori Mogol  Jahandir, Shah Janan, Awrangzeb, Farrukh Siyar, passando poi da Nadir Shah ad Ahmad Shah.

La prima data certa del possesso appare il 1612, e la storia della pietra è documentata sino al 1771.

Dovuta poi ad una falsa interpretazione di una parte dell’iscrizione verificatasi all’inizio dell’ultimo secolo è la credenza che la pietra sia stata del mitico sovrano Timur o Tamberlano, che la possedette per primo.

Tale attribuzione è stata smentita solo di recente.

 

 

QUALCHE NOTIZIA STORICA

 

La Regina Vittoria indossò la collana solo in rare occasioni, una delle quali fu la visita ufficiale dell’Imperatore francese Napoleone III con la consorte Imperatrice Eugenia giunti in Inghilterra nel 1855.

Tre dei diamanti pendenti furono resi sganciabili nel 1858.

La collana  fatta realizzare da Garrands nel 1853 costò come manifattura £220 sterline più £ 131 sterline, 17 scellini e 6 pences.

La Regina Mary fece allungare la collana nel 1911 ma non la indossò quasi mai.

 

 

 

 

 

OBJETS DE VERTU: UN CAMMEO E UN VENTAGLIO

 

Concludiamo la nostra rassegna della Collezione Reale Inglese con la presentazione di due “objets de vertu”, ossia con due oggetti di particolare interesse e bellezza, estremamente apprezzabili per i collezionisti e gli amatori.

Il primo è una tabacchiera in tartaruga (n°19), su cui è applicato un raro cammeo italiano, di perfetta manifattura, che rappresenta Apollo, il cui autore fu  nel 1810 Angelo Antonio Amastini.

La piccola immagine, dalle perfette proporzioni, mostra un busto di Apollo di profilo, con un mantello drappeggiato intorno alle spalle e fissato da un fermaglio sulla spalla destra.

I lunghi capelli del dio sono trattenuti da un nastro e i riccioli si dispongono armoniosamente intorno alla testa culminando in un ciuffo alla sommità.

 

-19- Angelo Antonio Amastini

Cammeo con busto di Apollo - 1810

 

Il cammeo è di onice grigio e translucido misto al bianco ed è circondato da una cornicetta ovale in oro che lo fissa alla tabacchiera di tartaruga bionda.

In oro è pure la cerniera della scatola,che nella parte posteriore a sinistra reca una iscrizione poco chiara: si tratta di alcune lettere che indicano il nome “Amastini”, ma che sono in parte latine, in parte greche. Si ritiene che l’autore abbia voluto così imitare una usanza antica, quella cioè di firmare con lettere greche i cammei.

Quanto alla provenienza, l’oggetto sembra essere appartenuto alla favorita di Giorgio IV, la Marchesa Elisabetta Coningham (17767/1861) e poi pervenuto in eredità a Sir Guy Laking, Guardiano dell’Armeria Reale di Windsor, il quale lo donò alla Regina Mary.

 

L’altro oggetto veramente particolare è un ventaglio, anzi uno di una coppia di ventagli, assai prezioso per la straordinaria lavorazione.

L’autore di quello che potrebbe essere un “unicum” al mondo, che è rimasto ignoto, riuscì a lavorare l’avorio in sfoglie sottilissime che poi furono traforate e ornate da figure di fiori e frutta, immagini umane ed animali che devono combaciare tra l’una e l’altra delle strisce che compongono il ventaglio che si apre a 360°.

L’apparenza di quest’oggetto inganna: a guardare l’impalpabile lavoro che disegna le immagini traforate , il ventaglio sembrerebbe di stoffa trasparente, ma osservandolo da vicino ci si accorge che si tratta di un materiale molto più duro e compatto, e che l’idea della leggerezza è data unicamente dalla sottigliezza e dalla trasparenza dell’avorio.

Sorprende e meraviglia inoltre la perfezione delle immagini rappresentate che denota la pazienza tutta orientale dell’autore, mentre rivela che anche questa fu un’opera la cui fattura dovette durare a lungo, come tante altre meraviglie dell’antichità, che erano spesso, per chi le eseguiva, il  lavoro di tutta una vita.

Infatti, per realizzare oggetti del genere, la cui perfezione doveva essere assoluta, per rendere poi il manufatto degno di essere presentato come dono ad un re, le parti che lo componevano dovevano essere rifatte un numero infinito di volte, sino ad essere assolutamente irreprensibili, e questo faceva sì che non di rado si impiegava tutta una vita prima di concludere la propria opera che si rivelava peraltro estremamente dispendiosa.

Si conclude così la descrizione di alcuni degli oggetti preziosi che fanno parte della collezione di gioielli antichi della Regina d’Inghilterra: molti altri sarebbero stati degni di attenzione, ma la raccolta è troppo ampia per poterla considerare nell’ambito di una sola ricerca.

Lo scopo era quello di presentare gli esemplari più originali per chi ama questo genere di lavori, e di attirare l’attenzione di chi è interessato a conoscere l’esistenza di raccolte e collezioni di oggetti rari di grande pregio.

Rimane pur sempre, per chi lo desiderasse, la possibilità di continuare in autonomia la ricerca, o di recarsi in Inghilterra per visionare direttamente gli oggetti che della collezione fanno parte.

 

-20- Ventaglio cantonese in avorio inciso e traforato, richiudibile.

 

 

Clelia Di Stefano-

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

-Jane Roberts-The Royal Collection Treasures-London, 2006-

 

-Dr.Kirsten Aschengreen Piacenti and Sir JohnBoardman-Ancient and Modern Gems and Jewels in the Collection of Her Majesty The Queen Elizabeth II-London, 2008-

 

-Royal Treasures: a Golden Jubilee Celebrations Catalogue-London, 2002-

 

 

Da Internet:

 

http://www.royalcollection.org.uk