una rosa d'oro
Commenti e critiche
Il Diritto all'Informazione Non era tra quelli affermati dalle Dichiarazioni dei Diritti dell’uomo formulate in Europa e in America dall’epoca dell’Illuminismo in poi,eppure,ai giorni nostri, il Diritto all’Informazione è diventato il più importante,il più pressante, il più dovuto dei diritti umani o, per lo meno, così ci si vuol far credere. Pare che, senza l’informazione, nessun individuo,di qualsiasi sesso, razza, nazionalità, possa vivere felicemente. Potremmo anche essere d’accordo sulla necessità di essere informati di quel che accade nel mondo e intorno a noi: dal momento che ci viviamo, dobbiamo pur sapere quel che succede. Tuttavia ciò che ci lascia perplessi è la presunzione che questa opzione diventi una necessità imprescindibile e addirittura si trasformi in un dovere se non in una forma di autentica violenza da subire senza la possibilità di sottrarsi ad essa, pur continuando a chiamarsi “diritto”, termine che , di per sé, indica qualcosa che spetta a qualcuno e non può essergli negata. Questo implicherebbe,però, un atto di volontà, che non si riscontra nella ricezione passiva di informazioni propinate senza richiesta ad individui sottoposti ad un bombardamento di parole e di immagini quale è quello effettuato dalla televisione. All’inizio la TV era più cauta, specialmente nel dare le notizie nel corso dei telegiornali.Aveva maggior riguardo per gli utenti del mezzo televisivo, divideva le trasmissioni per i piccoli da quelle per gli adulti in fasce-orario distanti tra loro . Le trasmissioni si svolgevano solo di pomeriggio e sino una certa ora della sera che non oltrepassava mai la mezzanotte. Ma presto cominciarono i raffronti con le televisioni del resto del mondo: la nostra fu accusata di essere senza nerbo, di fornire notizie edulcorate, di non incidere profondamente sull’immaginario collettivo e i proprietari dei networks , direttori delle testate dei telegiornali ,i giornalisti televisivi cominciarono a subire la pressione del mondo esterno ed a prendere coscienza che fare televisione era un’attività che doveva catturare l’interesse della maggior quantità di gente possibile, per servirsene poi a scopi commerciali e sfruttarne la potenziale carica economica che poteva essere assicurata mediante l’uso della pubblicità. Si prolungarono le trasmissioni sino alle ore notturne, si anticiparono nelle prime ore del mattino . Si cominciò a dire che “ bisognava dare al pubblico quello che voleva “. Ma cosa avrebbe voluto il pubblico non si seppe mai: si vedeva piuttosto che le proposte televisive si moltiplicavano e a scapito della qualità delle trasmissioni, spesso scopiazzate da quelle prodotte all’estero, se non addirittura importate e propinate quotidianamente e indiscriminatamente a qualsiasi ora del giorno senza preoccupazione alcuna circa la qualità degli utenti. Ormai le telenovelas imperversavano, proponendo modelli di vita del tutto estranei alla nostra maniera di vivere, abituando i più sprovveduti fra i nostri concittadini – e le nostre concittadine –a considerare possibili soluzioni esistenziali, quali il divorzio e l’aborto, che non erano caratteristici della nostra cultura. Inoltre ciò che dettava legge era l’indice di ascolto: se l’audience era alta per un programma, ciò significava che il pubblico lo gradiva. Lo si poteva ripetere all’infinito, e farne diverse edizioni una dietro l’altra. Così cominciarono a proliferare i nuovi profeti del video e le nuove profetesse, che insegnano a vivere, che frugano impietosamente nella vita della gente e mettono in piazza i fatti degli altri trasformandoli in un grottesco e spesso pietoso spettacolo, informando il genere umano che si può rubare, uccidere, stuprare, tradire , scomparire,violare la legge e sopravvivere ugualmente tanto da poter essere intervistati dalla TV. Già, perché pur di apparire sul video la gente venderebbe l’anima al diavolo. Ecco che la notizia se è autentica, meglio, ma se non c’è, si crea in modo fittizio e si trova facilmente chi si presta a comparire in TV per sostenere una parte finalizzata a rappresentare una realtà che esiste solo nell’immaginazione degli autori del programma televisivo. Ora dunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte, la TV ci informa. Ci informa con crudezza,con la precisa volontà di stupire,inorridire, scandalizzare,senza tenere conto delle fasce-orario in cui anche i bambini possono essere dinanzi al video ed assistere a spettacoli inadatti alla loro età,noncurante del fatto che tanta gente all’ora del Telegiornale del giorno o della sera dinanzi al desco familiare su cui incombe lo schermo televisivo non ci terrebbe proprio a trovarsi davanti spettacoli di morte -vuoi bellici, vuoi pubblici o privati -,a cadaveri scomposti e sanguinanti su cui impietosa la macchina televisiva indugia e fruga tra i particolari,a bambini sgozzati e bruciati, a corpi senza testa o senza altre membra, che trasformano il TG in uno spettacolo da Grand Guignol o in un vero e proprio film dell’orrore. Non si fa in tempo a riprendersi da una lista di delitti e stupri, di malversazioni e violenze che ,come ormai è d’uso per “alleggerire” la pesantezza di un vero e proprio comunicato di cronaca nera,si passa ai servizi sugli spettacoli e alle interviste con attori del cinema o della tv: è il momento di vedere,senza alcuna riserva,frammenti di film o spezzoni di trasmissioni che poi saranno magari considerati vietati ai minori di 18 anni. Scene gratuite di nudi, di atteggiamenti scomposti, discorsi osceni, parolacce e gestacci sono l’abituale condimento di molti servizi conclusivi dei telegiornali, così che, dopo essere stati molto attenti a non far vedere ai bambini programmi non adatti alla loro età,improvvisamente il TG fa sfilare davanti gli occhi di grandi e piccoli “tutto quello che non avrebbero mai dovuto vedere”. Che diritto hanno le persone di subire simili bombardamenti video-psicologici? E’ un diritto o una violenza? E’ vero, la TV si può spegnere, il video oscurare, ma sarebbe sempre una limitazione. Col che i mass-media avrebbero raggiunto proprio il risultato opposto a quello che si prefiggono:la conquista dell’audience. A ben riflettere, dunque,il concetto di diritto all’informazione appare distorto e finalizzato all’interesse di chi vuole fare apparire l’informazione come un bisogno della collettività: in realtà è ancora una volta un indotto della società dei consumi,un mostro virtuale allevato a beneficio di pochi per divorare i molti che ,passivi e inermi,subiscono uno stress continuo generatore di ansie e di angoscia. Vogliamo concludere con le parole dello scrittore Beppe Severgnini che sul Corriere della Sera, ad una mamma che gli domanda cosa fare per i suoi figli quando si trovano davanti a simili spettacoli propinati dalla TV, le consiglia di chiuderla, perché:”..i bambini non devono vivere sotto una campana di vetro…ma neanche in un bidone della spazzatura!”
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