una rosa d'oro

 

Commenti e critiche


 

 

DESTRUTTURAZIONE  RICOSTRUTTIVA

 

IL LAVORO - Parte Seconda -

 

a cura di Clelia Di Stefano

 

 

Un altro aspetto dell’attività umana che ai nostri giorni è investito dal fenomeno della destrutturazione ricostruttiva è  quello del lavoro.

Indispensabile complemento dell’esistenza dell’uomo, il lavoro ha attraversato nel tempo modificazioni e diversificazioni delle sue caratteristiche determinate dal contesto economico-politico-sociale e dal periodo storico di riferimento.

Senza volerne fare la storia dalle origini ai nostri giorni, non si può omettere che, almeno sino agli inizi del XIX secolo, il lavoro era generalmente mal pagato e costituiva spesso, per chi lo compiva, un obbligo gratuito, quasi una “corvée”.

 

 

Bayer - Bauhaus Variation-Weimar - 1923

 

 

In ogni caso i lavoratori non erano remunerati  proporzionalmente al compito svolto, ma in misura sempre inferiore, così che il datore di lavoro traeva un guadagno maggiore dalla realizzazione del prodotto di cui praticamente non pagava una parte che però vendeva.

Questo era ciò che Marx chiamava “plusvalore” e che consentiva l’accumulo del capitale . Il fenomeno fu anche indicato come “sfruttamento dei lavoratori”, contro cui il comunismo e il socialismo condussero, dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, una lotta senza quartiere.

Dalla rivoluzione industriale a seguire, comunque, la fisionomia del lavoro andò mutando sempre più celermente, ma, consolidatisi gli schemi lavorativi dopo il momento iniziale della meccanicizzazione, gli aspetti formali e sostanziali del lavoro restarono gli stessi sino ai primi decenni del Novecento.

 

 

 

UN UTILE CONFRONTO

 

Se l’assunto da dimostrare è che il lavoro oggi sta cambiando e per cambiare si autodistrugge pur senza perdere la forza del mutamento, è anche vero che il confronto tra le nuove tipologie lavorative ed un qualsiasi termine di paragone non può e non deve essere fatto con tutti i tipi di lavoro pre-esistenti, ma piuttosto con un solo tipo, cioè con quello immediatamente precedente.

Le caratteristiche  del lavoro, dunque, che dovranno essere considerate saranno quelle del periodo che va dalla fine del secolo XIX a tutto il XX secolo, che tuttavia non sono uguali per tutto il periodo storico indicato, anzi, cambiarono continuamente  anche a causa di due eventi bellici di grande portata quali furono la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.

 

Tra le caratteristiche del fenomeno “lavoro” ci sono aspetti soggettivi e oggettivi.

Tra quelli oggettivi c’è il criterio di necessità, quello di continuità, di giusta remunerazione, di sostenibilità.

Tra quelli soggettivi spiccano i criteri di responsabilità, di congenialità, di attitudine.

 

 

 

ASPETTI  OGGETTIVI

 

Può sembrare strano che si cominci a parlare degli aspetti oggettivi e non di quelli soggettivi del fenomeno lavorativo, ma in realtà  l’oggettività del lavoro e dei suoi aspetti fondamentali è un dato di fatto la cui importanza supera di gran lunga quella degli aspetti soggettivi.

 

 

 

CRITERIO DI NECESSITA’

 

Si è già detto che il lavoro è un’attività da cui l’uomo non può prescindere.

Esso, a parte il punto di vista remunerativo, che pure non è da sottovalutare, costituisce una ragion d’essere per la vita umana, ne motiva l’esistenza, ne finalizza gli sforzi e l’impegno a conseguire  dei risultati e a costruire in concreto l’avvenire proprio ed altrui.

Senza il lavoro, l’uomo non si sente realizzato, non vede affermarsi la propria personalità, perde la fiducia in se stesso e scade nell’autostima, sente di essere emarginato dal mondo di chi col lavoro promuove la propria posizione sociale e infine entra in un circolo vizioso che conduce alla depressione.

 

 

Bayer - Bauhaus-Ausstellung-Profile

Poster Image

 

 

Per tutto il XIX e buona parte del XX secolo il lavoro era considerato necessario per le fasce sociali  che non avrebbero avuto altri cespiti di guadagno se non quelli  che potevano derivare appunto  dall’impegno individuale, fisico o intellettuale che fosse.

Si trattava evidentemente del sottoproletariato, del proletariato e della piccola borghesia.

Le classi abbienti consideravano il lavoro come un attributo delle classi inferiori e riservavano per sé le attività legate all’alta finanza, alla conduzione delle  grandi industrie, delle grandi proprietà terriere, delle aziende di alto livello e di interesse internazionale.

Le due guerre mondiali mutarono gli schemi  e i parametri entro cui si muoveva il fenomeno lavorativo.

Il ridimensionamento della  nobiltà e dell’alta borghesia, il mutamento dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, le conquiste sociali del proletariato, il cambiamento  nel rapporto tra lavoro agricolo e lavoro industriale che vedeva invertite le percentuali di individui impegnati nell’attività dell’uno e dell’altro settore ribaltarono la visione tradizionale del lavoro che si ampliò sino a considerare orizzonti operativi molto più ampi del passato.

Ma  sopra tutto si rivalutava il concetto di necessità del lavoro, che dalla seconda metà del XX secolo si allargava a tutta la società senza esclusione di sorta.

Tornando quindi alla realtà odierna, il criterio di necessità si conferma e si qualifica come la base da cui può muovere la ricostruzione delle caratteristiche del lavoro: da essa almeno sicuramente si potrà ripartire per fondare la nuova idea dell’attività più antica e peculiare di un essere umano.

 

 

 

CRITERIO DI CONTINUITA’

 

Questo aspetto del lavoro è uno di quelli che nel tempo è stato valutato in modo alternativo e la cui natura si è sempre configurata relativizzandosi alle tipologie del lavoro più che alle necessità dei lavoratori. 

Ciò vuol dire che un tipo di lavoro può aver bisogno di essere praticato di continuo, come quello di determinate fabbriche che non contemplano l’interruzione del lavoro nelle fasi diurne e notturne e non ammettono   soste per il fine- settimana o per le festività.

Ma può anche configurarsi una tipologia lavorativa differente, per cui la pratica di un’attività, come per esempio quella agricola, è per sua stessa natura discontinua.

 

Le conseguenze di tali differenze  determinano una diversa valutazione del salario che per il passato è stato sempre causa di battaglie sindacali e di richieste, da parte dei lavoratori, di creare dei turni di lavoro sostenibili e di remunerazioni maggiorate per i turni lavorativi notturni e festivi, laddove per il lavoro agricolo si è invocata la remunerazione dei periodi di inattività forzata  non dipendente dai lavoratori ma dal ritmo lavorativo stagionale.

Tuttavia, che il lavoro sia da praticare di continuo o no, il rapporto di lavoro non è per questa ragione  a sua volta ininterrotto, cioè non è mai stata considerata una condizione necessaria quella del mantenimento continuativo del posto di lavoro da parte del lavoratore.

Ciò  sino alla Seconda Guerra Mondiale.

Infatti, sino a quel momento qualsiasi datore di lavoro, in Europa o negli Stati Uniti d’America, che sono i luoghi da cui trae esempio questa ricerca, riteneva suo diritto inalienabile la facoltà -e la legge glie lo consentiva- di licenziare un lavoratore qualora esso non avesse soddisfatto sul piano del rendimento o del comportamento individuale pubblico e privato.

 

 

Rudolf Baschant - Bauhaus Blue Circle - 1923

Poster Image

 

 

Dopo il conflitto, almeno in Italia, le cose cambiarono.

La necessità della ricostruzione di un paese provato dalla guerra, l’esigenza di stabilità delle strutture sociali e familiari indussero lo Stato a farsi carico dell’istituzione di una serie di posti di lavoro assegnati per concorso che, tra le altre caratteristiche peculiari, avevano anche quelle della non-licenziabilità e del lavoro a tempo indefinito.

Sulla scia  dei criteri adottati dallo Stato nel configurare tali rapporti di lavoro, anche i sindacati dei lavoratori di qualsiasi tipo cominciarono a chiedere l’adozione del criterio di non-licenziabilità dei lavoratori e di continuità, quindi, nel rapporto di lavoro.

La soluzione fu, nei primi tempi, di grande conforto per i lavoratori e diede impulso alla ricostruzione post-bellica accelerando la normalizzazione.

Ma, dopo un certo numero di anni, le conquiste dei rappresentanti dei lavoratori, la consapevolezza di non poter essere licenziati se non per gravi motivi da dimostrare e sottoporre alle autorità competenti, dopo un regolare procedimento che si poteva realizzare solo in pochi e rarissimi  casi, cominciarono a corrodere il senso del dovere e la puntualità sul posto di lavoro, determinarono il fenomeno dell’assenteismo che andava sempre più  dilatandosi, consigliarono un atteggiamento lassista nei dirigenti e nei lavoratori degli uffici e delle attività che si svolgevano alle dipendenze dello Stato.

Mantenevano un maggiore rigore le aziende condotte da privati: lì ancora era consentito un controllo più severo dei comportamenti considerati antisindacali, poiché i sindacati prendevano le distanze dagli associati che non dimostravano rispetto per l’attività lavorativa.

La situazione attuale ha ribaltato le caratteristiche della continuità soggettiva e oggettiva del lavoro.

La crisi economica vede quotidianamente migliaia di lavoratori perdere il posto di lavoro non  a causa di comportamenti scorretti né per decisione arbitraria dei datori di lavoro, ma a causa di un periodo di recessione e di interventi esteri che hanno reso il mercato del lavoro insicuro e oscillante, mentre il cambio delle divise dei singoli stati europei nella moneta unificata dell’Euro ha rimesso in discussione tutti i parametri preesistenti senza lasciare intravedere ancora un inizio di normalizzazione.

Paradossalmente, si parla ora di un libero mercato del lavoro, dove un lavoratore di qualsiasi tipo che decida di migliorare la sua posizione e di guadagnare di più possa cambiare lavoro tre o quattro volte nella vita, come avviene in USA o negli stati settentrionali dell’Europa, dove sino ad ora la disoccupazione è stata quasi inesistente.

In parallelo, la mancanza di posti di lavoro spinge ancora una volta, come in tutti i periodi di crisi, a rivolgersi alle strutture pubbliche e allo Stato, invocando un  intervento per la creazione dei medesimi a tempo indeterminato per consentire un rapporto lavorativo continuato e sicuro.

Appare più che mai evidente, dunque, l’urgenza di ricostruire secondo nuovi parametri il concetto di continuità del lavoro, di dare una regolamentazione più consapevole dei diritti e dei doveri dei lavoratori, mettendo in rilievo questi ultimi, di cui è sembrato, nell’ultimo mezzo secolo, quasi proibitivo parlare: tutti hanno diritti, nessuno ha più doveri.

 

 

 

CRITERIO DI GIUSTA REMUNERAZIONE

 

Ogni lavoratore sa che il proprio salario è solo una piccola parte della ricchezza da lui prodotta, alla cui creazione e al cui accrescimento hanno contribuito e contribuiranno altri lavoratori come lui.

Non c’è dubbio però che, se il datore di lavoro non mettesse in gioco il proprio denaro per dare inizio ad un’attività lavorativa, il lavoratore non potrebbe prestare la sua opera richiedendo per essa una giusta mercede, che è il salario,ovvero la giusta remunerazione del lavoro eseguito.

Come tale, perciò, il salario è un diritto inalienabile del lavoratore, ammesso che egli presti la sua opera secondo i modi e la qualità del lavoro così come gli viene richiesto.

 

 

Weimar Bauhaus – Museum Poster

 

 

Ma, a prescindere dagli aspetti economici e sociali della questione, esiste anche un lato morale di essa, che rende necessario qualche chiarimento.

Se infatti esistono dei beni di natura (fra cui l’esempio più classico è la terra) di cui tutti gli uomini hanno diritto di essere partecipi pur non possedendoli, o dei beni che sono frutto della produzione del lavoro che gli uomini compiono per accrescere il capitale del datore di lavoro, il modo più giusto per rendere tutti partecipi di questi beni è il salario.

Resta da compiere, pur tuttavia, qualche riflessione sul concetto di “giusta remunerazione”, e cosa si intenda per “giusta”.

Appare subito evidente che la giusta remunerazione sia quella che metta l’individuo in condizione di vivere dignitosamente, in relazione, certamente, al tipo e alla quantità di lavoro prodotto.

Chi lavora, infatti, per lo più non lo fa solo per sé,ma anche per la propria famiglia. La remunerazione del lavoro deve tenere conto di ciò, e di altri aspetti della vita presente e futura del lavoratore e delle persone a carico di lui.

A questo scopo, al salario vanno aggiunte le cifre di denaro necessarie (assegni familiari, assicurazione sulla vita, incidenti sul lavoro, etc.) a provvedere ai bisogni elementari del lavoratore e della sua famiglia, alla loro salute, alla previdenza, all’educazione e all’istruzione dei figli.

Peraltro un paese è tanto più avanzato civilmente quanto più consente alla donna di aver cura della prole che ha bisogno nei primi anni di vita dell’assistenza materna.

Per concludere, fa parte del concetto di giusta remunerazione anche l’esercizio del diritto al riposo (ferie) e dell’assicurazione per la vecchiaia (pensione).

In relazione a  quest’ultimo argomento, nei nostri giorni è probabile che vi saranno modifiche, che sono richieste dall’UE, ma che purtroppo non sempre coincidono con la visione della vita  esistente nel nostro Paese.

 

 

 

CRITERIO DI SOSTENIBILITA’

 

Sostenibilità è un termine di recente conio, cui si è data sempre maggiore importanza da quando è stato adottato dal mondo dell’economia.

Si parla spesso, infatti, di “sviluppo sostenibile”, intendendo riferirsi ad un tipo di crescita(dell’economia, delle città, delle comunità, etc..) che non comprometta la possibilità delle future generazioni di perdurare e progredire costantemente, godendo degli stessi benefici dei predecessori.

Per conseguire infatti uno sviluppo sostenibile, bisogna potere e sapere preservare la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali  necessarie ad offrire ai posteri le stesse opportunità di cui hanno usufruito le precedenti generazioni.

L’obiettivo da raggiungere è, nella fattispecie, quello di  mantenere uno sviluppo compatibile con l’equità sociale.

Per quanto riguarda il lavoro, la sua sostenibilità consiste nella possibilità di essere esercitato nell’ambito di un’organizzazione o un’attività in grado di mantenere e sviluppare le proprie prestazioni nel lungo periodo, attraverso un bilanciamento degli interessi economico-finanziari con quelli ambientali.

Infatti, un lavoro sostenibile è un lavoro condotto nel rispetto dell’ambiente e della vita umana.

A tale scopo, è necessario riservare una parte del lavoro umano alla manutenzione, stimolando i cittadini a conservare i beni prodotti, a ridurre lo spreco, ad agire in sicurezza, a condurre un’esistenza sostenibile che renda vivibili le città e le fabbriche efficienti ma non inquinanti.

Secondo la legge italiana: ”Ogni attività umana... deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire all’uomo che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non comprometta la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.”-

 

(continua)                         

 

 

 


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